mercoledì 16 aprile 2014

Due passi nel "modello Renzi" e nel "made in Eataly"

FIRENZE – Tornare a fare due passi in centro a Firenze dopo tanto tempo mi riserva un’esperienza quasi mistica, un piacevole salto nel tempo. Bagliori del passato e barlumi di futuro. Avevo lasciato la mia città anni fa, credendo che fosse giunto a compimento quel processo degenerativo cominciato negli ultimi anni del secolo scorso, o forse prima ancora.
Un’accoglienza malintesa, come quella che aveva portato dentro i confini dell’Impero Romano le orde barbariche che l’avevano poi travolto, aveva costretto una città che è Patrimonio dell’Umanità da diversi secoli prima che qualcuno la dichiarasse tale a subire dapprima l’oltraggio di quel tendone etnico in Piazza del Duomo sotto il Palazzo arcivescovile, quella sorta di big bang della cialtroneria culturale e morale prima ancora che materiale che aveva avvelenato gli ultimi giorni su questa terra della nostra concittadina Oriana Fallaci e avvilito la quotidianità di ognuno di noi più modesti mortali, nati a Firenze quando ancora ciò era motivo di orgoglio. Dopodiché non era rimasto che assistere impotenti alla metastasi che ha consegnato le chiavi di questa città al possesso di chiunque abbastanza prepotente da venire qui e prendersela senza tanti complimenti, meglio se non italiano, secondo uno schema politically correct alla rovescia.
Avevamo rialzato la testa dopo l’Alluvione senza troppo sforzo, nel giro di un mese non c’era più traccia di fango a Firenze. I miei ricordi di bambino sono vividi, gli adulti ci misero poco o nulla a ridare alla città quel volto che aveva avuto per secoli. O così almeno a me sembrava, ma i racconti dei “vecchi” erano tutti uguali, ed improntati a questo orgoglio ben fondato. La mia generazione invece ha saputo distruggere nel volger di pochi anni quello che era stato creato durante un millennio. O così almeno a me sembrava, quando decisi che non avrei messo più piede nel bazar lercio che era diventato il centro di Firenze, a meno di non esservi costretto.
Matteo Renzi non abita più qui. Vi ha abitato per cinque anni come sindaco (gli ultimi tre spesato da altri, se non a sua insaputa come qualche suo collega, almeno a sua spensieratezza, non sono molti anche in questa città gli amici che ti aiutano a pagare l’affitto). Delle cento cose promesse in campagna elettorale cinque anni fa ne ha realizzate si e no cinque o sei. Rimetto piede in centro quasi per caso e scopro che quelle cinque o sei però funzionano.
Palazzo Vecchio non è più quella stalla dei Lanzi, adiacente all’omonima Loggia, ad entrare nella quale sotto le passate gestioni si provava un misto di ribrezzo e di labirintite, per lo sporco ed il caos tra cui si aggiravano torme di turisti malcapitati e di cittadini capitati anche peggio. Prima che Dan Brown giungesse a magnificare il vecchio maniero dei Signori di Firenze nel suo Inferno, l’inferno era qui. Renzi forse non passerà alla storia come il Rutelli fiorentino, cioè come colui che all’epoca del Giubileo del 2000 ripulì il centro di Roma, ma certo è un bel vedere il vecchio municipio mediceo come rimesso a nuovo, sgombrato anche di vigili e uscieri che più o meno sgarbatamente ti apostrofavano mentre ti aggiravi incerto in cerca del tuo Girone.
Per le strade attorno, spazzatrici stradali e operatori ecologici combattono la loro battaglia contro i resti delle varie Movide e della transumanza di un turismo abituato negli anni a lasciarsi dietro spensieratamente escrementi del tipo più vario. E la novità è che a giudicare dalle condizioni del suolo che calpesto questa battaglia non è più persa in partenza come poco tempo addietro.
Ma è soprattutto per due cose che va ringraziato Matteo Renzi: la prima è Piazza del Duomo. E decenni di polemiche inutili e capziose spazzate via in un attimo quando decise di chiuderla, senza se e senza ma. Certo, la viabilità alternativa dell’ATAF messa in piedi in fretta e furia sembra il “facite ammuina” della marina borbonica, ma in compenso la piazza sgombrata e lentamente bonificata da ogni lordura, baccano e confusione si presenta nell’anno di grazia 2014 non troppo dissimile da quando Brunelleschi vi pose a suggello la sua Cupola. Ci sono perfino le toilettes pubbliche, elegantemente nascoste all’interno di uno degli storici palazzi che si affacciano sul Battistero. Ci sono i café che si estendono sulla ex sede stradale e offrono insieme aperitivo e scorcio di uno degli angoli di mondo più splendidi.
Per la seconda, basta girare un angolo. San Lorenzo è un’altra delle piazze più belle del mondo, nei secoli dei secoli. Dopo un iniziale sbandata per un fantomatico progetto di completamento della facciata, con Michelangelo che si rivolta ancora nella tomba, il Renzi che avanza ha imboccato la strada giusta restituendo la piazza “a vita nuova da squallore” non secolare, ma sicuramente cinquantennale, mettendone fuori i venditori ambulanti, e relative bancarelle.
Lo spettacolo della piazza finalmente vuota, che prima si poteva ammirare solo di domenica, ripaga l’amministrazione comunale di tante amarezze (e il vicesindaco Nardella anche di qualche spintone e di qualche “parola grossa” subita) e offre alla cittadinanza un altro bagliore di un passato che più glorioso non si può. Speriamo duri, il Nardella che avanza si prepara a raccogliere l’eredità del Renzi che ha spostato le sue 100 promesse su un palcoscenico più impegnativo, quello dei destini d’Italia, e con essa l’impegno a salvaguardare le cinque o sei iniziative azzeccate dal suo predecessore. In ogni caso, un bel salto rispetto al Domenici del tendone etnico e della storica frase: “Voi fate pure i vostri referendum, noi faremo i nostri appalti”.
Barlumi di futuro, dicevo. Sono nel nuovo aspetto “lavato” e ripulito di una città che torna a rivolgersi a chi la sa apprezzare per quello che è, residente o turista, e non violentare a piacimento. E sono anche in qualcosa di nuovo, una goccia nel mare apparente dello svuotamento del centro di negozi e attività commerciali che avevano fatto la storia, a vantaggio di mercatini etnici e negozi acquistati con il contante facile di chi non rende conto al fisco italiano. In via Martelli ha aperto la famigerata Eataly, là dove c’era la Libreria Marzocco, e poi Martelli. Famigerata perché se ne parlava, rigorosamente male, già prima che arrivasse.
In una città che stava morendo economicamente prima ancora che culturalmente e socialmente, Natale Farinetti detto Oscar sfida la sorte “aprendo” dove gli altri chiudono. Si becca subito un corteo firmato da tutti i campioni dell’economia No Global e da Collettivi vari che inneggiano al “meglio disoccupati che sfruttati”. Lo sfruttamento consisterebbe nel salario corrisposto ai lavoratori, tutti o quasi ragazzi in età da studio universitario. Quelli che una volta si chiamavano “apprendisti”, ed erano ben felici di accostarsi al mondo del lavoro pagandosi – come adesso – gli studi, o anche soltanto affitti altrimenti proibitivi.
Renzi e Farinetti all'inaugurazione di Eataly
Chi dice 800 euro, chi dice 1.000 (lo stesso Farinetti), certo per gli stipendi non ballano cifre esorbitanti, ma qualcuno intanto torna ad assumere, a dare una chance a ragazzi che altrimenti sarebbero a casa, a pesare su famiglie già messe a dura prova. C’è poi chi parla di “modello Renzi”, di Farinetti fiancheggiatore del Presidente del Consiglio nell’attuazione del Jobs Act, l’attacco finale del Padronato ai diritti dei lavoratori, all’art. 18, alla stessa Costituzione repubblicana ed antifascista. Dimenticando che questi istituti sono da tempo sotto attacco, anzi sono in un angolo, parte per colpa della recessione mondiale e dell’apertura ai mercati dalla manodopera a costo zero, parte per la politica scellerata di quella stessa “sinistra” che ora è la prima oppositrice del neosegretario neoprimoministro Renzi. Faceva comodo anche alla Quercia e seguenti il precariato. Dei morti non si parla che bene, ma la legge che ha preso a spallate i diritti dei lavoratori in Italia porta il nome di Marco Biagi, pace all’anima sua. Non quello di Renzi, o di Farinetti.
Forse l’età gioca brutti scherzi, forse era vero l’aforisma di Winston Churchill, chi non è di sinistra da giovane è senza cuore, chi non è di destra da vecchio è senza cervello. Comunque sia, mi godo questa passeggiata nel centro di Firenze in cui avevo giurato di non tornare più, per non sentirmi straziare il cuore a vedere che della mia città, del Patrimonio dell’Umanità non rimaneva nulla. Mi godo ogni passo, qualcuno pulisce la terra che calpesto, qualcuno ha fatto sì che non venga assediato ad ogni passo da ambulanti e saltimbanchi vari, o minacciato da gang etniche o autoctone. Qualcuno torna ad aprire nel centro di Firenze, anche se non è più la libreria dove trascorrevo interi pomeriggi da giovane. Ma grazie a Eataly e a chi ne seguirà magari l’esempio, forse qualche giovane è ancora in grado di sognare, e di fare un primo passo verso la realizzazione di quel sogno. Che sia un incubo come quello vissuto dai fiorentini negli ultimi quindici anni è tutto da dimostrare.

Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza.

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