sabato 24 maggio 2014

Il giorno del silenzio

Verrebbe quasi da dire che la cosa che funziona meglio del nostro sistema politico, quella che non ha bisogno di essere sicuramente riformata, è la giornata di silenzio elettorale. La fine degli urli e delle promesse, degli insulti e dello scatenamento delle piazze più o meno ruggenti rappresenta sempre quel momento impagabile in cui l’elettore – ma vorremmo dire piuttosto l’essere umano – resta solo con se stesso, nel chiuso ed al riparo della propria coscienza. Un momento che purtroppo dura soltanto un giorno. Un giorno che a volte, come adesso, vorremmo durasse per sempre.
Diceva Mark Twain, se votare servisse a cambiare qualcosa, è sicuro che non ce lo lascerebbero fare. Detto da un americano (tra i più brillanti e sagaci, tra l’altro) vissuto a cavallo del secolo americano, è un aforisma che fa riflettere. Le urla si sono appena acquietate, da domani riprenderanno gli exit poll, le analisi “a caldo”, le proiezioni, le prime dichiarazioni dei vincitori (tutti) e degli sconfitti (nessuno). Da martedi, business as usual, qualcuno rivorrà indietro gli 80 euro elargiti in fretta e furia, qualcuno avvierà i processi popolari sulla “rete”, qualcuno chiederà nuove elezioni o farà appello al senso di responsabilità delle forze politiche e – già che ci siamo – di tutti i cittadini.
E’ la democrazia, bellezze. Quel sistema che Winston Churchill definì “pessimo, ma tuttavia il meno peggiore tra quanti elaborati dalla razza umana per governarsi”. E’ un film già visto e rivisto tante volte, ma che non si può fare a meno di rivedere. Chiedere a chi vedeva film molto peggiori, e per di più in bianco e nero. Il 25 aprile è passato da poco.
E allora perché questo scoramento, questa disaffezione, questo montare della marea degli scontenti? A quanto arriverà domani sera l’astensionismo? E l’antieuropeismo? Già, si vota per la più discreditata delle istituzioni planetarie in questo anno di grazia 2014, il Parlamento Europeo. Si vota pro o contro una moneta, l’Euro, che è diventata il simbolo di tutto quanto è malvagio nella nostra società e nella nostra economia continentale. Sembra quasi di essere tornati ai tempi delle monarchie costituzionali, quando per salvare la testa al re si decapitavano i suoi ministri. Per salvare una casta che comunque continuerà a prosperare, a bivaccare in quel di Bruxelles producendo normative e direttive sempre più allucinanti, ce la prendiamo con la moneta che quindici anni fa sembrava il biglietto vincente della lotteria. Eravamo allucinati allora, o lo siamo adesso? O lo siamo sempre stati?
L’anno numero 14 è sempre critico. Un secolo fa entrò in crisi un mondo in cui grandi ricchezze si confrontavano con povertà sempre più abissali, caste “nobiliari” si guardavano in cagnesco con “plebi” sempre più affamate, assetti territoriali venivano messi in discussione da aspirazioni di indipendenza o di mutamento comunque di confini e di aggregazioni, i tedeschi erano mal visti a causa di una politica estremamente aggressiva, anglosassoni e francesi erano stati miopi fino a quel momento ed eccessivamente fiduciosi nella propria forza “imperiale”, mercati fino a poco tempo prima lontani facevano sentire le conseguenze della loro turbolenza e – anche qui – aggressività, la Russia era sull’orlo di un sommovimento di proporzioni epocali. Nel giro di pochi giorni, dopo un lungo accumular di tensione, tutto precipitò, e fu quella che il Papa avrebbe chiamato “l’inutile strage”. Di proporzioni colossali. La Prima Guerra Mondiale.
Siamo nel 2014 e sembra di leggere la descrizione del mondo attuale. Con in più gli effetti della globalizzazione, della asiatizzazione, degli sbarchi a Lampedusa. Per questo si vota oggi, non per Renzi, né per Grillo né per Berlusconi. I quali hanno smesso ieri sera di arringare piazze che chiedono sempre più a gran voce quei processi popolari su cui si sta scherzando amabilmente sopra a proposito del comico genovese e della sua Rete, ma di cui in realtà c’è una gran voglia diffusa. C’è voglia di individuare il nemico, “etnico” o “di classe”, e poi di scatenargli contro la furia di quella belva che nella storia ritorna a intervalli regolari.
Dopo il 1914 e la trageda della guerra, venne un biennio rosso e poi uno nero. In Italia anche allora c’era chi prometteva una normalizzazione, un Giolitti che cercava di salvare il vecchio sistema come oggi Berlusconi, dei giovani dirigenti socialisti o popolari che cercavano di riformarlo se possibile come oggi Renzi, e un guitto prestato alla politica che aveva capito prima e meglio degli altri che l sistema poteva crollare facilmente, bastava una spallata. Si chiamava Gabriele D’Annunzio, oggi Beppe Grillo. Non aveva un programma politico, dopo il crollo del sistema qualcosa sarebbe venuto, qualcosa uscito dalla fantasia, dalla creatività dei tempi nuovi, perché darsi pena prima del tempo?
Gabriele D'Annunzio e Benito Mussolini
Allora il guitto servì ad aprire la strada a chi poi faceva sul serio, e il suo programma ce l’aveva chiaro e dettagliato fino in fondo. Gli strumenti messi a punto da D’Annunzio servirono alla perfezione a Benito Mussolini, e il resto é storia nota.

E’ il giorno del silenzio, e le contraddizioni di tutto quanto abbiamo sentito urlare e di tutto quello che non abbiamo sentito dire risuonano più forte che mai, in questo silenzio. Difficile dire se avesse ragione Mark Twain, se votare serve a qualcosa. La storia del Ventesimo Secolo una cosa però ce la dice: i più grandi disastri sono stati fatti proprio con il voto liberamente esercitato dai cittadini. Poi, rimediare è tutt’altra questione.

Nessun commento:

Posta un commento