mercoledì 1 luglio 2015

Storia dei Presidenti della Repubblica: da De Nicola a Gronchi (1946-1962)

Il 2 giugno 1946 il popolo italiano avente diritto al voto (donne comprese, per la prima volta nella storia d’Italia) stabilì che la forma di governo della Nazione non sarebbe stata più una monarchia, ma bensì una repubblica, ed elesse una Assemblea con l’incarico di elaborare una nuova Costituzione che sostituisse il glorioso, ma logoro e non più adatto ai tempi Statuto Albertino. Conseguentemente, Umberto II di Savoia il Re di Maggio si caricò sulle spalle le colpe di tutta la sua reale famiglia e si imbarcò per un esilio da cui non sarebbe più tornato (l’avrebbero fatto i suoi eredi molti anni dopo), a Oporto, in Portogallo.
Umberto II di Savoia
Il suo posto al Quirinale fu preso, come capo dello Stato provvisorio e di fatto primo Presidente della Repubblica Italiana, da un avvocato napoletano che aveva già avuto esperienza politica e ricoperto cariche istituzionali nell’Italia prefascista. Enrico De Nicola era un predestinato, un primo in molte cose, e lo fu anche nel cursus honorum politico. Dal 1920 era stato Presidente della Camera dei Deputati nell’ultima legislatura prima dell’incarico di governo a Mussolini. Come molti liberali, inizialmente De Nicola aveva visto nel futuro Duce un freno provvidenziale alla marea rossa, un male necessario, ma minore rispetto ai tempi che correvano. Come molti liberali, tra cui il suo conterraneo ed amico Benedetto Croce, dovette ricredersi più o meno all’epoca del Delitto Matteotti, e ritirarsi in un Aventino lungo più di vent’anni.
Decaduto nel 1924 per non aver prestato giuramento ad uno Stato che ormai prescriveva di indossare la camicia nera, arrivò con la reputazione intatta al dopoguerra, e parve ai costituenti la persona ideale per rappresentare un paese emerso da un disastro e profondamente spaccato nelle sue varie anime: i monarchici che contestavano brogli nel referendum, le sinistre che subivano la pericolosa deriva sovietica e che però avrebbero accettato un liberale di prestigio (il primo candidato era stato lo stesso Croce), le destre e la neonata DC che volevano la maggior continuità possibile con lo stato sabaudo (il candidato era stato Vittorio Emanuele Orlando, il presidente del consiglio della vittoria nella prima guerra mondiale).
De Nicola fu la soluzione di compromesso, che consentì alla Repubblica di uscire dalla delicata fase post partum (in quegli anni peraltro si calcolava che quattro neonati su dieci non superassero le prime settimane di vita), e che malgrado avesse neanche tanto segretamente sperato di essere riconfermato nelle elezioni presidenziali successive al 1° gennaio 1948 (data di entrata in vigore della Costituzione), finì per abbandonare il Quirinale con stile migliore di diversi suoi successori. Primo senatore a vita della repubblica, divenne dapprima Presidente del Senato
e poi nel 1955 primo Presidente della neonata Corte Costituzionale. Un cursus honorum difficilmente superabile, anche nei tempi a venire.
Enrico De Nicola
La Costituzione del 1948 stabiliva (e stabilisce tutt’ora) che il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune presieduto dal Presidente della Camera dei Deputati e con l’aggiunta dei delegati dei Consigli Regionali, tre per ogni regione meno la Val d’Aosta che ne esprime solo uno. L’art. 83 della Costituzione fu voluto espressamente così dai Padri Costituenti, preoccupati di evitare che nell’Italia post-fascista si ricostituisse un Esecutivo forte. La Repubblica doveva essere parlamentare, non presidenziale. Il Presidente e il governo dovevano essere eletti dal Parlamento, non da una investitura popolare diretta (come nelle principali democrazie occidentali), perché non succedesse in futuro che una folla volubile cadesse di nuovo preda di demiurghi contro i quali la fragile democrazia italiana non sarebbe stata forse più forte del regno sabaudo.
Il problema era che la legge costituzionale che regola l’elezione del Presidente, nell’intento di farne una figura condivisa da tutte le forze politiche e super partes, richiede per questa elezione una maggioranza di due terzi per le prime tre votazioni, e comunque una maggioranza assoluta dalla quarta in poi. E siccome in Italia la maggioranza assoluta non l’ha mai avuta nessun partito (anche beneficiando dei cosiddetti premi di maggioranza), il Presidente della Repubblica è sempre stato frutto di compromessi faticosissimi. 
Il successore di De Nicola fu il giornalista economista Luigi Einaudi, ordinario di Scienza delle Finanze all’Università di Torino. La DC che nel 1948 subiva la fortissima e indiscussa leadership di De Gasperi ed il candidato prescelto che per i suoi trascorsi filo-socialisti turatiani era ben visto dal Fronte Popolare socialcomunista consentirono l’elezione di Einaudi al quarto scrutinio. Era comparso il fenomeno dei franchi tiratori, che avrebbe funestato le elezioni successive, ma si trattò ancora di un fenomeno circoscritto.
Luigi Einaudi
Luigi Einaudi era un economista liberal, non certo un keynesiano. Lo Stato doveva rimanere fuori dell’economia, della sua collaborazione con la rivista Critica Sociale di Filippo Turati era rimasto poco o nulla all’epoca della sua maturità politica e della sua presidenza. Il suo liberismo esaltava l’iniziativa privata, e andava a pennello per un paese che doveva affrontare il problema della Ricostruzione. La sua frase storica, “I guai cominciano quando si spende una lira in più di quello che si guadagna”, dettò anche un modello di comportamento per Governo e Pubblica Amministrazione che non sarebbe stato destinato ad avere seguito negli anni a venire.
Nel 1955, non c’era più De Gasperi al timone della Democrazia Cristiana, ma bensì l’enfant prodige dell’epoca, Amintore Fanfani, esponente della corrente di sinistra. E dalla sinistra DC andò a pescare il candidato presidente. Giovanni Gronchi era uno che veniva da lontano. Toscano di Pontedera, era stato esponente di spicco del partito Popolare di Don Sturzo, uno dei triumviri che resse il partito dopo che il prete scomodo fu costretto alle dimissioni dal Vaticano. Partecipò all’Aventino e fu dichiarato decaduto da parlamentare dalle leggi fascistissime
Giovanni Gronchi
Nel 1942 fu tra i partecipanti agli incontri segreti da cui prese il via la Democrazia Cristiana, di cui fu esponente all’Assemblea Costituente. Fu Presidente della Camera dei Deputati, e alla metà degli anni cinquanta era un esponente di spicco di quella corrente DC che guardava con antipatia agli alleati americani e con simpatia al PSI, che si cercava di separare dai compagni comunisti in un’ottica già proiettata verso il centrosinistra.

Gronchi fu eletto al quarto scrutinio, e fu il presidente dell’Italia che si avviava verso il boom economico. Giovanni al Quirinale, e Giovanni (XXIII) in Vaticano assicurarono all’Italia un periodo in cui speranza e fiducia sembravano aprire orizzonti assai rosei. L’idillio era tuttavia destinato a finire presto. Il Presidente Gronchi venne ben presto chiacchierato per sue presunte partecipazioni ad affari economici da cui la sua alta carica avrebbe dovuto tenersi fuori, e per un atteggiamento complessivo a volte fin troppo disinvolto. 
Ma soprattutto, il centrosinistra si dimostrò un affare molto più complicato del previsto da condurre in porto, non solo per le resistenze americane, ma anche per quelle interne. Nel 1960 incaricò del governo uno dei suoi DC di sinistra, Fernando Tambroni, che nella situazione conflittuale che viveva il partito in quel momento non trovò di meglio che andare a cercare i voti necessari per la maggioranza a destra, in quel M.S.I. che aveva raccolto l’eredità fascista di Salò. Gli scontri violenti che ne seguirono in tutta Italia furono la pietra tombale sulle ambizioni di rielezione di Gronchi, che nel 1962 raccolse i voti soltanto di pochi franchi tiratori.

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