mercoledì 1 luglio 2015

Storia dei Presidenti della Repubblica: Napolitano I° (2006-2013)

Dopo la morte di Enrico Berlinguer e ancor più dopo che sotto i colpi della Perestrojika di Gorbaciov morì anche l’Unione Sovietica, sembrò di nuovo che il tempo del comunista liberale Giorgio Napolitano fosse venuto. Come avrebbe detto Boris Eltsin (e non solo lui), però, il comunismo non è riformabile, né quello sovietico né quello italiano.
La base una volta di più avrebbe preferito uno dei “suoi”, duri e puri, respingendo ancora l’uomo del dialogo e del compromesso con la “destra”. Fu Alessandro Natta a diventare segretario del P.C.I. dopo Berlinguer, e a Napolitano non restò che continuare la battaglia iniziata per il cambio di nome e ragione sociale del Partito: da Partito Comunista Italiano a Partito democratico della Sinistra. Battaglia tardiva, che sarebbe stata vinta e poi vanificata da Achille Occhetto, esponente della nouvelle vague post-Berlinguer che avrebbe rottamato (almeno in apparenza) il P.C.I. e mandato per sempre in soffitta la Falce ed il martello.
Nel 1992, un anno dopo la nascita della Cosa post-comunista ed in piena Tangentopoli, toccò a lui succedere a Oscar Luigi Scalfaro, nominato Presidente della Repubblica, come Presidente della Camera dei Deputati. Fu il primo incarico istituzionale della sua vita, e già allora non avrebbe mancato di causare sconvolgimento e scalpore con alcune sue importanti decisioni. Da presidente, Napolitano negò l’accesso agli atti della Camera alla Guardia di Finanza che indagava per conto del Pool Mani Pulite sui bilanci dei partiti politici e su presunti compensi irregolari percepiti da parlamentari.
con Bettino Craxi
Decisione formalmente ineccepibile secondo una visione asettica del diritto pubblico, ma in completa controtendenza rispetto ad un’opinione pubblica che sollecitata da Tangentopoli chiedeva conto dell’impiego legittimo o meno di quelli che il giudice Di Pietro aveva definito brutalmente ma efficacemente “i nostri soldi”.
Quando poi si trattò di votare l’autorizzazione a procedere contro il leader socialista Craxi, Napolitano ratificò la decisione dell’Assemblea che l’aveva respinta, ma subito dopo – con decisione che non mancò di assumere un connotato inevitabilmente polemico e “mirato” - dispose che analoghe votazioni si tenessero in futuro in forma palese, innovando così ad una prassi parlamentare ultrasecolare.
Questa decisione ebbe ovviamente il plauso di un’opinione pubblica ormai largamente ostile a quello che veniva definito il “Parlamento degli inquisiti”, ma parve un voltafaccia ai suoi colleghi con i quali aveva intrattenuto cospicui rapporti ultraventennali. Lo stesso Craxi non mancò di farglielo rimarcare, allorché durante la deposizione al Processo Cusani (alla fine, l’unico processo celebratosi per Tangentopoli e che finì per diventare di fatto un processo alla classe politica della Prima repubblica) lo accusò apertamente di aver preso parte al sistema di corruzione generalizzato, avendo fatto parte di un partito che non aveva mai fatto mistero di ricevere aiuti economici da uno stato estero per di più nominalmente ostile, l’Unione Sovietica.
Dopo la vittoria di Berlusconi nel 1994, Napolitano, tornato ad essere un semplice parlamentare del PDS (per quanto di spicco) ebbe il plauso del neo Presidente del Consiglio per il discorso ufficiale in rappresentanza del suo partito nel dibattito sulla fiducia. Per quanto simile plauso non fosse granché condiviso dal partito in nome del quale Napolitano aveva parlato, il rapporto con Berlusconi era stato tuttavia instaurato ed era destinato a mantenersi più che buono per almeno i successivi 15 anni.
Dopo la fine del primo governo Berlusconi, Napolitano fu poi ministro dell’Interno per Romano Prodi. Il suo periodo al Viminale viene ricordato principalmente per due motivi: l’aver promosso insieme a Livia Turco quella legge che istituendo i centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini aprì di fatto le porte del nostro paese all’invasione degli extracomunitari irregolari, e l’aver scarsamente vigilato su Venerabile Licio Gelli, Gran Maestro della P2, che fuggì all’estero il giorno stesso (28 aprile 1998) della condanna definitiva per strage e altri delitti da parte della Cassazione.
Dopo la caduta di Prodi, nel 1999 fu eletto al Parlamento Europeo, mentre al Quirinale saliva il suo amico Carlo Azeglio Ciampi che alla scadenza della legislatura, nel 2005 lo nominò Senatore a vita, insieme al designer di autovetture Sergio Pininfarina.
Un anno dopo, credendo di stabilire una continuità con la apprezzatissima presidenza Ciampi, la maggioranza parlamentare in quel momento in mano all’Ulivo di Prodi, lo elesse Presidente della Repubblica alla quarta votazione. L’ultimo pezzo del Muro di Berlino era caduto, e un ex comunista saliva per la prima volta al Quirinale.
La Presidenza Napolitano si aprì in pratica all’Olympiastadion di Berlino, dove alla sua presenza gli azzurri di Marcello Lippi vinsero il 9 luglio 2006 il quarto titolo mondiale di calcio della storia d’Italia. Ma più che a quella di Sandro Pertini, che aveva assistito alla vittoria del terzo nell’82 al Santiago Bernabeu di Madrid, la sua presidenza era destinata almeno per i primi cinque anni ad assomigliare a quelle incolori, notarili, eccessivamente concentrate sugli aspetti formali e formalistici del proprio ruolo di un Giovanni Leone o di un Francesco Cossiga prima di diventare il picconatore.

In realtà, Giorgio Napolitano fu da subito assai più interventista di quanto sembrasse a prima vista, intervenendo pesantemente nelle varie guerre tra le Procure in qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (i casi Woodcock e De Magistris furono clamorosi) e soprattutto intervenendo nelle varie guerre intestine all’Ulivo, cercando di salvare dapprima Prodi e poi comunque la legislatura a maggioranza di sinistra, con un incarico a Franco Marini degno dei giorni migliori (o peggiori) della Prima Repubblica. Ma era nella legislatura successiva alla vittoria elettorale di Berlusconi nel 2008 che la Presidenza Napolitano avrebbe dispiegato i suoi effetti – è il caso di dire – più devastanti, conquistandosi a torto o a ragione un posto di clamoroso rilievo nella storia di questo paese.

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