domenica 1 giugno 2014

Trieste festeggia il Giro d'Italia e la Repubblica

TRIESTE – Poco prima dell’arrivo cadono le prime gocce di un acquazzone tropicale, ma non riescono a rovinare la festa del Giro d’Italia, né quella della città che ne ospita la  ventunesima ed ultima tappa di questa edizione 2014, la novantasettesima.
L'arrivo del Giro sulle Rive di Trieste
Sulle Rive di Trieste taglia il traguardo posto nella suggestiva cornice del tratto di lungomare antistante la storica Piazza dell’Unità d’Italia lo sloveno Luka Mezgec, che riesce a mettersi in vetrina proprio qui, a due passi da casa, precedendo Nizzolo, Farrar e Bonhami, gli ultimi attori di questa corsa che ieri sullo Zoncolan ha visto scrivere dall’australiano Rogers e dallo sfortunatissimo Bongiorno l’ultima pagina della sua storia, e che oggi offre questa passerella di lusso alla gente di Trieste e ai turisti appositamente venuti qui.
E’ festa colombiana, perché il paese sudamericano festeggia per la prima volta nella sua storia sportiva il primo ed il secondo posto al Giro, con Nario Quintana che ha agguantato la maglia rosa sul Grappa strappandola al connazionale Rigoberto Uran e non l’ha mollata più. Ma è anche festa italiana, e non solo perché Fabio Aru – il ragazzo a cui tante bandiere con le quattro teste di moro giunte fin qui dalla Sardegna inneggiano sul lungomare di Trieste – conclude splendido terzo. Ma anche e soprattutto perché in questa conclusione della corsa ciclistica più amata dagli italiani si sommano tante e tali ricorrenze da estendere il significato di questa giornata ben al di là dell’evento sportivo, seppur importante.
Il lungomare imbandierato
W Trieste italiana, recitava uno striscione ieri sullo Zoncolan. Non è un caso che un’organizzazione attenta al momento storico e a certe simbologie abbia volutamente rinunciato al tradizionale arrivo a Milano, sede storica della “rosea”, colei che ha dato vita a questa corsa e da quasi un secolo la organizza e ne canta le gesta, la Gazzetta dello Sport. Quest’anno il Giro, partito da Belfast, finisce nel capoluogo della Venezia Giulia, in quella città che fu l’ultima importante a riunirsi all’Italia quasi cento anni fa e che il 26 ottobre 1954 ritornava sempre all’Italia a conclusione dell’occupazione alleata conseguente alla seconda Guerra Mondiale.
Umorismo triestino al Molo Audace
A ricordo dell’entrata in città dell’VIII battaglione dei Bersaglieri quella mattina di sessant’anni fa, l’ultima tappa del Giro è stata preceduta da una parata degli stessi Bersaglieri. Il Giro del resto finisce a poche ore dalla Festa della Repubblica, quel 2 giugno a cui nei tempi attuali di crisi si fatica ad attribuire valore, e che proprio qui, su queste Rive dove il 3 novembre 1918 ancora i Bersaglieri sbarcarono con la bandiera italiana in pugno dall’incrociatore Audace concludendo insieme il Risorgimento e la Prima Guerra Mondiale, è giusto che sia celebrato con tutta l’enfasi di cui sono capaci da sempre le nostre Frecce Tricolori, la pattuglia acrobatica più famosa del mondo che ha sede proprio qui, nella vicina base militare di Rivolto in provincia di Udine, e che da oltre cinquant’anni porta in giro assieme alla sua scia tricolore il sentimento positivo di una comunità italiana più volte risorta e ricostituita dalle sue storiche crisi.
Lo spettacolo delle Frecce
L’ultima tappa è partita in mattinata da Gemona del Friuli, la città che tra il 6 maggio ed il 15 settembre del 1976 non esisteva più, devastata dal terremoto che per poco non mise in ginocchio questa regione. Non esisteva la Protezione Civile, i friulani dissero “facciamo da soli”. Fatto sta che oggi Gemona appare come se non avesse mai trascorso quei momenti tremendi. Il Giro attraversa tutte le zone del terremoto, dopodiché si reca a rendere omaggio a quelle della guerra mondiale, scorrendo sotto la base del Carso fino al sacrario di Redipuglia. E’ quindi il momento di entrare a Trieste, per la splendida via della Costiera che scende fino a Barcola. L’ultima tappa è una cavalcata di 167 chilometri, gli ultimi cinquanta sono costituiti dagli otto giri nel circuito cittadino, che tocca tutte le strade e le piazze conosciute in tutto il mondo dai tempi di Maria Teresa e di James Joyce.
Oggi sarebbe anche il centesimo compleanno di Giordano Cottur, una leggenda del ciclismo triestino e italiano. La sua carriera prese il via proprio da un altro ben più drammatico arrivo a Trieste, nel 1946. La seconda guerra mondiale era terminata da poco e da queste parti aveva lasciato lo strascico sanguinoso dell’occupazione militare jugoslava, la cosiddetta zona B che si estendeva quasi fino alle porte di Trieste. La carovana del Giro fu accolta dalle sassate di alcuni contestatori filo-comunisti e filo-titini, che cercavano il gesto eclatante fermando la corsa rosa. L’organizzazione tenne duro insieme ad un gruppo di ciclisti coraggiosi, tra i quali Cottur a cui fu lasciato l’onore della vittoria in volata nel capoluogo giuliano. Anche alla memoria di quest’uomo era dedicata questa giornata, a cui in fondo lui ha mancato di assistere per pochi anni, essendosene andato all’età di 92 nel 2006.
Tante ricorrenze, tante suggestioni. Da queste parti, come del resto un po’ dovunque, qualcuno si chiede se questa Repubblica non sia stata un po’ “matrigna” – diciamo così – andando magari a spulciare il trattato di Parigi del 1947 e il memorandum di Londra del 1954 per trovarvi dei vizi di forma che rendano nulla la riannessione all’Italia. A queste suggestioni al contrario non poteva esserci miglior risposta di una giornata come questa. Quando all’ultimo passaggio delle Frecce Tricolori lo speaker di una radio privata (una di quelle che di solito trasmettono musica spensierata e poco altro) ha urlato “sono orgoglioso di essere italiano”, l’applauso che è partito è stato scrosciante, e crediamo non si limitasse soltanto a sottolineare la performance di nove splendidi acrobati dell’aria o dei cento e passa campioni della bicicletta che sono passati di lì a poco per il primo dei loro otto giri.

Una splendida conclusione per una splendida corsa. Uno splendido viatico per il 2 giugno. All’anno prossimo, con la speranza di festeggiare un altro anno di questa Repubblica un po’ più fausto di questi ultimi, che comunque ci hanno portati tutti qui, sulle Rive di Trieste, a celebrare sentimenti che non perdono di valore.

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