lunedì 1 settembre 2014

Morire per Danzica

All’alba del 1 settembre 1939 i primi soldati della Wehrmacht alzarono la sbarra di confine tra la Germania e la Polonia. Con questo atto quasi da campeggiatori indisciplinati cominciò la Seconda Guerra Mondiale, il conflitto a tutt’oggi più devastante dell’intera storia dell’umanità, quello che era destinato a mutare radicalmente e per sempre assetti territoriali e istituzionali ed equilibri di potere che avevano resistito per secoli, lasciandosi dietro tra le macerie un mondo completamente nuovo.
L’ultimatum di Hitler alla Polonia era scaduto alla mezzanotte del 31 agosto. In realtà sarebbe scaduto cinque giorni prima, il 26, tre giorni dopo che Molotov e Ribbentrop avevano firmato il loro patto scellerato, quell’accordo incredibile, impossibile, infernale con cui i comunisti avevano dato via libera ai nazisti per la conquista dell’Europa.
Neville Chamberlain, che un anno prima aveva creduto di aver “assicurato la pace al suo tempo” lasciando che Hitler sbranasse la Cecoslovacchia, convinse finalmente se stesso, i suoi connazionali e i demoralizzati alleati francesi che il momento di dire basta era quello. E che sarebbe valsa la pena morire per Danzica. Il Fuhrer esitò, l’Impero Britannico per lui era un avversario formidabile, ma la sua volontà di potenza ed i suoi piani per attuarla ebbero in definitiva un rinvio di soli cinque giorni. La macchina della morte era avviata ormai da tempo e non si fermò più.
Alla fine, Stalin era risultato determinante non fidandosi del corteggiamento di inglesi e francesi, ritenendolo (non senza un fondo di verità dal suo punto di vista) subdolo, attuato controvoglia, pretestuoso e dettato solo dalla grave necessità del momento. A differenza dello Zar nel 1914, la Guida della Rivoluzione nel 1939 diffidava degli occidentali che portavano doni più che del dittatore ancor più luciferino e minaccioso di lui, da cui peraltro lo divideva soltanto quell’esile, fragile striscia di terra chiamata Polonia.
A Stalin la salvezza dell’Europa e dell’Occidente interessavano poco o nulla. L’unico suo obbiettivo era avere il tempo di riorganizzare l’Armata Rossa dopo le purghe sanguinose che le aveva imposto negli anni precedenti. L’Unione Sovietica non era pronta ad un conflitto su vasta scala, e se ad ovest nazisti ed alleati si scannavano tra sé per lei sarebbe stato tanto di guadagnato.
Adolf Hitler d’altra parte era interessato ad una cosa sola: evitare il ripetersi del doppio fronte che aveva logorato – ed alla fine sconfitto - la Germania dal 1914 al 1918. Nel proporre al Diavolo il suo patto, il Fuhrer era assolutamente sincero, e il Diavolo lo avvertì, fidandosene molto più di quanto aveva fatto ascoltando i plenipotenziari alleati.
Bombardamento di Varsavia
Non era certo una fiducia su cui dormire sonni tranquilli a lunga scadenza, tutti avevano presente il Mein Kampf, anche il Dittatore Rosso del Kremlino. C’era scritto chiaramente che uno degli obbiettivi fondamentali della Nuova Germania nella conquista del lebensraum era la distruzione del Comunismo, al pari delle etnie che occupavano quei territori verso i quali la Wehrmacht aveva preso a muovere le sue divisioni corazzate l’anno precedente.
I Russi erano slavi e comunisti. Fidarsi di Hitler per loro aveva senso alla lunga quanto ne aveva avuto per gli Ebrei di Germania. Eppure quei due anni tra il patto Molotov-Ribbentrop e l’avvio dell’Operazione Barbarossa probabilmente salvarono l’Unione Sovietica. E altrettanto probabilmente anche il mondo intero, che altrimenti avrebbe finito per parlare tedesco e sventolare la Croce Uncinata in almeno tre continenti su cinque.
Il Piano Fall Weiss (Caso Bianco) scattò dunque alle 5 di mattina circa del 1 settembre. Era un piano semplice e micidiale, come tutti quelli messi a punto dallo stato maggiore prussiano che dopo il Kaiser si era messo al servizio del Fuhrer. Si trattava di riprodurre a specchio nella pianura polacca quello che era successo ad occidente nell’agosto 1914 e sarebbe successo di nuovo (in versione riveduta e corretta) nel maggio 1940, il cosiddetto Piano Schlieffen, consistente nell’avanzata rapidissima di truppe corrazzate con la copertura aerea dei bombardieri.
La blitzkrieg condotta dagli Junkers e dai Panzer era una novità a cui il mondo non era preparato. Pochi strateghi – tra cui Charles de Gaulle – avevano messo in guardia gli stati maggiori occidentali contro la devastante potenza della rinata forza armata tedesca dotata delle nuove tecnologie, ma erano stati tacitati come uccelli del malaugurio, Cassandre in versione moderna.
La resistenza polacca con la linea difensiva lungo il confine non durò più di quanto sarebbe durata la Linea Maginot, allorché Hitler decise di attaccarla. La Wehrmacht colpì a tenaglia, il braccio nord conquistò Danzica (e il famoso corridoio che aveva separato la Germania dalla Prussia Orientale) e poi scese su Varsavia, il braccio sud fece lo stesso dalla Slesia e dalla Slovacchia attraverso la Galizia, mentre la Luftwaffe devastava tutto.
La Polonia secondo Ribbentrop e Molotov
In quindici giorni circa la Polonia fu messa in ginocchio, e quando il 17 l’Armata Rossa si presentò a riscuotere la sua parte di bottino (cioé i territori ad est della fatale Brest-Litovsk acconsentiti da Ribbentrop a Molotov) i polacchi opposero una resistenza disperata (odiando i russi forse anche più di quanto odiavano i tedeschi) ma altrettanto inutile. Ai primi di ottobre la Polonia non esisteva più. I resti del suo esercito – e di quella nobile cavalleria che aveva romanticamente e tragicamente sfidato i carri armati nell’ultima carica di soldati a cavallo della storia moderna -  finirono nei lager nazisti da un lato e nelle fosse di Katyn dall’altro.

Dal 3 settembre Inghilterra e Francia combattevano al loro fianco, ma i polacchi non avevano avuto il tempo di accorgersene. Mentre la Svastica sventolava su Varsavia, lungo la Maginot imperava la drole de guerre, la strana guerra che avrebbe retto fino alla primavera dell’anno successivo, prima che nelle Ardenne si scatenasse di nuovo l’inferno e la Francia e il mondo intero precipitassero in quell’incubo che avevano temuto per vent’anni, ma che mai avrebbero potuto immaginare di simile portata.

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