domenica 12 ottobre 2014

Le donne di Kobane combattono anche per noi

Kobane è la Guernica del nostro tempo. Se tutto andrà bene, potrà diventarne la Stalingrado. Altrimenti, diventerà una nuova Srebrenica, con una coalizione internazionale impotente o infingarda che assiste al massacro di civili inermi o di coraggiosi soldati. E soldatesse.
L’esercito peshmerga sta offrendo al mondo infatti non soltanto il forte impatto emotivo del suo coraggio e del suo valore, essendo a tutt’oggi l’unico che sta affrontando a livello del suolo quello del famigerato Isis, il Califfato del Principe Nero Al Baghdadi. Ma anche l’immagine inedita e ancor più emozionante delle donne guerriere, le ragazze curde che imbracciano le armi a fianco dei maschi del loro popolo con il sorriso sulle labbra, un sorriso probabilmente dettato dalla disperazione indotta dalla consapevolezza che a loro è riservato un destino ancora peggiore di quello dei loro uomini, qualora cadessero vive nelle mani dei guerrieri del Califfo, e gettato in faccia con sprezzo a questa vera e propria Morte Nera del ventunesimo secolo.
La Jihad non prevede gloria né tantomeno paradiso per chi combatte (e cade) contro le donne. Per i guerrieri dell’Islam deve essere assai disdicevole affrontare queste ragazze guerriere sapendo che l’alternativa è tra il disonore di una sconfitta ignominiosa e la miseria di una vittoria a cui la loro stessa religione non riconosce alcun valore. La loro vergogna tuttavia è quasi pareggiata da quella che farebbe bene a provare l’Occidente, che malgrado tutte le intenzioni bellicose sbandierate dai suoi improbabili condottieri e malgrado l’ennesima coalizione internazionale messa in piedi assiste immobile al sacrificio di queste ragazze e di questi ragazzi.
I Curdi sono abituati da sempre alla lotta per la sopravvivenza. Come i vietnamiti di 40 anni fa, come gli Afghani, non hanno conosciuto altro che guerra, stretti tra governi ostili accomunati da una cosa sola: il desiderio del loro sterminio. Eppure non si sono mai arresi, anche perché per loro non c’era alcuna resa onorevole in ballo. A Kobane si combatte perché non c’è alternativa ad una morte atroce, gli uomini decapitati, le donne anche ma solo dopo essere state violentate. I Curdi sono costretti a fare la loro parte, come sempre. Avevano chiesto all’Occidente soltanto di essere armati in modo adeguato. L’Occidente, che per tornaconto politico o interesse economico le armi non le ha negate mai a nessuno, in questo caso sta lesinando, tra l’altro a proprio rischio e pericolo.
Non c’è un Lawrence d’Arabia stavolta a guidare la rivolta di popoli oppressi in Medio Oriente e a fare gli interessi di questo Occidente che meriterebbe di finire come gli aveva predetto Nostradamus: travolto da una nuova guerra mondiale, l’ultima, scatenata appunto da un principe arabo. Il peggior presidente della storia americana non sa gestire la guerra come non ha saputo gestire la pace. L’Europa non sta meglio, governata ormai da una fattrice tedesca e da uomini di banca che capiscono solo il linguaggio dei numeri e il colore dei soldi.
C’è una coalizione di nome e non di fatto, aerei che si sollevano in volo per bombardare non si sa cosa, visto che l’Isis avanza imperterrito. Alla favola delle bombe intelligenti non crede più nessuno, basterebbero comunque quelle “stupide” di sempre a fare qualche danno al Califfo Nero. Anche se poi la tattica militare non è molto cambiata dai tempi di Napoleone. Il quale, pur essendo nato come ufficiale di artiglieria, aveva enunciato una massima aurea, valida per tutte le guerre: “è l’artiglieria che conquista, ma è la fanteria che occupa”.
La divisione del Medio Oriente tra inglesi e francesi.
Lawrence aveva chiesto uno stato arabo unitario dal
confine della Turchia fino alla penisola araba
La fanteria non c’è, i “nostri” non arrivano. Nessuno sta andando in soccorso degli eroi e delle eroine di Kobane per via di terra. L’unica che potrebbe agire nell’immediato e con efficacia è quella turca. Ma Erdogan segue la politica dei suoi predecessori, una costante fin dai tempi di Ataturk: nessuna pietà per i Curdi. Aiutarli a sopravvivere potrebbe voler dire per Ankara vedere un popolo che essa desidererebbe forse soltanto cancellare dalla faccia della Terra acquisire dei meriti e dei diritti ad un tavolo di pace tali da consentirgli di invocare il tanto agognato stato autonomo. Una ripetizione del processo che portò alla nascita dello Stato di Israele, dalla dichiarazione Balfour del 1917 alla risoluzione dell’O.N.U. a titolo di risarcimento per l’Olocausto dopo la seconda guerra mondiale.
La Turchia è un paese affascinante ma complesso. Non si muoverà comunque finché ciò può andare a vantaggio dei Curdi. I quali chissà se sopravviveranno al loro di Olocausti. L’Occidente perderà tempo a fare la lista della spesa rispetto agli interessi particolari dei singoli stati leader, e a tener dietro alle diatribe e alle distinzioni interne al mondo arabo, anche a quello che – almeno a parole – dice di aver disgusto per il fanatismo dei Jihadisti. Una cosa dovrebbe essere chiara, la Jihad è un tratto caratteristico dell’Islam, culturale prima ancora che politico. La religione islamica, nella versione codificata attraverso i secoli dai teologi che si sono affannati ad interpretare (al peggio) le parole del Profeta, prevede la guerra santa agli Infedeli come un dogma irrinunciabile, così come la prevedeva del resto il Cristianesimo prima di essere depurato di tutte le incrostazioni successive alla predicazione di Cristo, attraverso un processo storico-filosofico dolorosissimo durato secoli e costato molto sangue. Un processo che nel mondo islamico – almeno quello mediorientale - è, forse, all’appena all’inizio.
La Morte Nera
Tra le tante scorciatoie intellettuali escogitate da un mondo occidentale neghittoso, per non doversi impegnare né in cielo né in terra, c’è quella che pretende che tutti i mali del Medio Oriente – come del resto del mondo intero – siano conseguenza del Colonialismo dei bianchi europei e americani. Certo, se inglesi e francesi nel 1918 avessero dato retta al colonnello Lawrence e alle istanze dei suoi seguaci, forse il mondo arabo oggi avrebbe acquietato alcuni dei suoi risentimenti storici contro i cristiani. O forse no. Il problema della Jihad è un problema interno al mondo arabo, fermo culturalmente al 622 d.C.
All’Occidente spetta solo decidere, finché ha la possibilità di farlo, se non vuole che resti anche un problema suo. Anzi, la madre di tutti i problemi. Comunque la si veda a proposito di quanto è successo dal 11 settembre 2001, l’ interpretazione dell’Islam del Califfo è il nazismo del nostro tempo. Al Baghdadi è il Darth Vader annunciato da Nostradamus e la sua spada mira alle teste di tutti noi.

Si può stare a guardare Kobane diventare Guernica, poi Stalingrado, oppure Srebrenica. Dopo, che ci piaccia o no, toccherà a noi.

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