martedì 9 dicembre 2014

L’inverno del nostro scontento



Disgraziata la patria che ha bisogno di eroi, diceva Bertolt Brecht parlando di cose più serie del calcio. Firenze ha scoperto negli ultimi anni di avere un bisogno disperato di eroi, proprio nel calcio (nella vita comune lasciamo stare, l’unica personalità di rilievo prodotto da diverso tempo a questa parte ha già preso la strada di Roma e attende l’ardua sentenza dei posteri se la sua sarà vera gloria o meno).
L’elettroshock del 2002, con il fallimento e la retrocessione di diversi piani della società e l’allestimento di un’altra a tamburo battente il tutto nel giro di un mese scarso, ha prodotto una specie di schizofrenia negli addetti ai lavori e negli aficionados che gravitano intorno al mondo viola.
Da un lato la parte cosciente della psiche collettiva fa mostra di aspirare ad un avvenire tranquillo, perfettamente incarnato dalla gestione dei Della Valle e degli uomini del loro staff: niente più voli pindarici verso le alte vette della classifica, ma neanche niente più scivoloni (o quasi) nel baratro di quella bassa; né infamia ma nemmeno lode, quarti posti come Champion’s League, autofinanziamento e fair play finanziario, terzo tempo spesso più importante (e a volte più appassionante) dei primi due regolamentari.
Dall’altro lato c’è l’inconscio, quella parte insopprimibile e sempre riaffiorante della nostra personalità individuale che collettiva, che in fondo di tutto ciò non si accontenta per niente, e sogna il ritorno della cavalleria, di eroi e squadroni che sappiano rinverdire i fasti di quelli del passato, che nessuno almeno tra le generazioni non proprio di primo pelo ha dimenticato, Né vuole o può dimenticare.
Si tratta di conciliare, per usare termini cari al Presidente in pectore Mario Cognigni (il Richelieu di questo regno dellavalliano) l’azienda con il cuore, la fruizione di uno spettacolo moderno in ambito sportivo con il tifo (sempre uguale e intramontabile, al di là dei discorsi e dei distinguo) per la propria squadra del cuore, la ragione ed il sentimento, la clientela con la passione, ovviamente sfrenata come si conviene alle passioni migliori.
Ecco allora, per farla breve, che un Fiorentina-Juventus come quello andato in onda lo scorso 5 dicembre – una delle peggiori e più noiose edizioni a memoria d’uomo viola, ma anche, crediamo, bianconero – subisce un processo forse inevitabile di trasformazione, quasi di canonizzazione, diventando un’epica battaglia in cui i “nostri” hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, schiacciando le Armate delle Tenebre per buona parte del match a ridosso del loro fortilizio, spalle al Nero Cancello. E pazienza se verso quel Cancello i nostri eroi sono riusciti a scagliare i loro dardi infuocati appena una volta, imitati peraltro dal “nemico”. E’ stato nel mezzo della mischia – dice ancora Cuor di Tifoso – che si è visto il valore dei nostri prodi che a colpi di mazza ferrata hanno messo sotto i blasonati cavalieri avversari.
Siamo vecchi, probabilmente, oltre che infarciti di letture classiche. Questa parodia che sterza verso l’ironia vuole solo esorcizzare, nel ricordo e soprattutto nelle conseguenze, una delle più brutte partite viste all’Artemio Franchi, già Stadio Comunale, già Stadio Giovanni Berta da quando Fiorentina e Juventus si affrontano nella massima serie italiana. In un processo quanto mai necessario di autocoscienza collettiva bisognerebbe rendersi conto che le formazioni messe in campo dal Guardiamarina Montella e dal Mister Allegri (per ora di nome ma non di fatto) sono due copie sbiadite di quelle che nella passata stagione dettero più volte spettacolo proprio su questo palcoscenico e in varie competizioni, e da copie sbiadite si sono comportate. Per non parlare di gloriose antenate del passato con i quali è francamente difficile trovare rapporti di parentela.
Lasciando stare una Juventus che stasera cerca per l’ennesima volta di riallacciare un discorso del calcio italiano con il calcio internazionale praticamente interrottosi bruscamente dopo il 2007 (ultima vittoria nostrana di un trofeo continentale), è della squadra viola che preme qui e adesso parlare. Dicendo chiaramente che le iperboli usate dopo la partita con gli “odiati” bianconeri fanno bene forse a dei cuori raggelati dall’inverno incipiente e da un avvio di stagione non molto confortante, ma non ne fanno per niente a quella ragione necessaria a seguire un’impresa come quella che si pone davanti a questa Fiorentina, nella risalita di posizioni in classifica.
E’ un campionato assai strano, la corsa al terzo posto dietro bianconeri e giallorossi è al momento una specie di derby della Lanterna, e già questo la dice lunga sul fatto che qualcosa non sta funzionando nel modo in cui eravamo abituati. Arrancano senza continuità Napoli, Lazio, Milan ed Inter, arranca soprattutto lo squadrone che a Ferragosto spezzò le reni al Real Madrid vendicando la finale di Coppa dei campioni del 1957, per poi perdersi miseramente ai primi scontri di campionato.
La Fiorentina di questa prima parte della stagione è – per usare un’altra citazione classica – un enigma avvolto in un mistero. Costruita, o per meglio dire confermata, sull’ipotesi del tridente Rossi-Gomez-Cuadrado, si è ben presto ritrovata con il solo colombiano per di più reduce da un’estate appesantita dalla partecipazione ai Mondiali e dalle insistenti e comprensibili voci di mercato. Un Juan Guillermo Cuadrado non al meglio della forma e che tutti ormai conoscono e su cui raddoppiano è a tutt’oggi l’unica risorsa della Fiorentina per saltare l’avversario e andare in porta.
Il Mario Gomez riaffacciatosi in squadra dopo il secondo infortunio è anch’egli un giocatore in cerca della condizione, con la differenza che se lasciato solo là davanti senza l’appoggio di una seconda punta si perde, non fa reparto, non segna e non fa segnare. La seconda punta, se va bene, tornerà a marzo, o forse addirittura l’anno prossimo, per adesso il meglio che può fare Pepito è raccontarci le sue appassionanti memorie. Degli altri, Bernardeschi gli fa compagnia in infermeria e Babacar non può giocare a fianco a Supermario, ma semmai piuttosto al suo posto. Questo è l’attacco con cui la Fiorentina dovrebbe dare l’assalto alla zona Champion’s, ordinato una volta di più con voce roboante da Andrea Della Valle in queste ore. Con quali prospettive si è visto per esempio proprio nello scontro casalingo con quel Genoa che adesso è terzo in solitaria e che qui è stato messo sotto senza remissione per 90 minuti.
Fin qui l’enigma, relativo ad una squadra che non è più una novità per gli avversari, che ha diversi uomini misteriosamente fuori condizione (visto che ben pochi di essi sono stati in Brasile tra giugno e luglio) e che ha le polveri bagnatissime in attacco. Poi c’è il mistero, rappresentato dalle scelte tecnico-tattiche di Vincenzo Montella. Che non avrà ricevuto sicuramente all’avvio del campionato le risorse che si aspettava e probabilmente aveva chiesto, ma che spesso e volentieri ha mostrato di non aver le idee chiarissime su come schierare quelle che bene o male si è ritrovato. E che – è bene dirlo – per un campionato squinternato come è ridotto il nostro non sono affatto malaccio.
Dal “Brillante” esordio dell’Olimpico di Roma alla lunga insistenza sul “falso nueve” (e forse falso giocatore in assoluto, almeno per la serie A) Ilicic, all’altrettanto lungo ostracismo a Joaquin (regolarmente il migliore in campo da quando è rientrato, malgrado l’età), al recente accantonamento di quell’Aquilani che era parso una spanna più in su di tutti sia come classe che come rendimento fino a poco tempo fa, sono tanti i misteri che il Guardiamarina Montella dovrebbe chiarire. Principalmente poi ci sarebbe la questione di cosa vuole fare da grande, e se vuole ancora farlo qui a Firenze (magari con la società che fa la sua parte con altrettanta chiarezza e tempismo). Intanto, tra i segnali confortanti va registrato il timido tentativo di abbandono di quel modulo di gioco comunemente conosciuto come tiki taka, che qui ha funzionato soltanto nei giorni migliori di Stevan Jovetic e di Giuseppe Rossi, due giocatori capaci di far fronte alle difficoltà di gioco con i propri mezzi personali. E la registrazione di una difesa che è seconda soltanto a quella della capolista Juventus (e guarda caso l’unica cosa che ha funzionato a dovere nel match del Franchi sono state appunto le due difese.
La rimonta al campionato non sarebbe un’impresa, per qualche grande Fiorentina del passato o anche per qualche buona Fiorentina degli ultimi anni di Della Valle, compresa quella della scorsa stagione. Rischia di essere troppo per questa, per la quale tutto dovrebbe filare per il verso più che giusto da qui alla fine, e francamente “tutto” pare un po’ troppo. Poi nulla vieta ai tifosi di illudersi di assistere a prestazioni “magistrali” degli attuali Pizarro, Borja Valero e Matias Fernandez, per tacer di Gomez e Cuadrado (che almeno lui però in porta ci tira una volta a partita). Nulla vieta di illudersi di stare guardando ancora Eraldo Pecci, Giancarlo Antognoni, Roberto Baggio, Gabriel Batistuta. O che il duello Chiellini-Gomez è paragonabile a quello tra Garzena e Virgili, o tra Gentile e Graziani, o anche tra Tudor e Batistuta. Et similia.
Nulla vieta, ma non aiuta, non fa affatto bene. Disgraziata la patria che ha bisogno di eroi. E qui a Firenze, e forse in tutta Italia, non è più tempo di eroi.

Nessun commento:

Posta un commento