giovedì 21 novembre 2013

RENZIADE: Renzi Vs. D'Alema: in gioco il futuro dell'Italia


Ha vinto Renzi con il 46,7% dei voti, ma anche Cuperlo con il 38%, e Pippo Civati con il 9%. E soprattutto ha vinto Massimo D’Alema, l’uomo che nessuno ha mai votato ma che da più di vent’anni ha in mano quel partito che ha cambiato nome almeno quattro volte, ma le cui scelte politiche passano sempre attraverso le Case del Popolo. L’unico posto dove il politico meno simpatico della storia d’Italia conserva ancora intatto il suo sex appeal.
Le Primarie a doppio turno del PD hanno candidato il Sindaco di Firenze, il suo antagonista costruito nel laboratorio delle Case del Popolo e quell’altro, il “ragazzo terribile” e indisciplinato emerso dalla nuova generazione, forse l’ultima su cui il PD stesso eserciterà una qualche forma di richiamo.
L’8 dicembre prossimo la parola definitiva passerà a tutti coloro che saranno disposti a versare l’obolo di due euro. Basta questo infatti per scegliere il nuovo segretario del Partito Democratico, nonché candidato alla presidenza del consiglio nelle elezioni che prima o poi si terranno anche in questo paese il cui sistema politico è regredito ad una Monarchia semi-costituzionale. Del resto, per scegliere i candidati a questo ballottaggio si poteva essere anche sbarcati da poco da qualche gommone e tesserati con procedura d’urgenza da qualche solerte funzionario di partito. Molto più difficile e complicato avere un appuntamento medico tramite CUP, soprattutto se si è cittadini italiani.
Matteo Renzi sente già la vittoria in tasca, parla da segretario in pectore e da nuovo leader della sinistra. Ha già fatto ampiamente quello che gli riesce meglio: parlare in lungo e in largo, raccontando a tutti cosa sarà e cosa farà il nuovo PD. Per esempio, non sosterrà più ministri screditati come quella Cancellieri che ieri ha riaffermato arrogantemente il proprio buon diritto a farsi gli affari propri e dei propri amici di famiglia utilizzando apparecchiature di proprietà dello Stato. Con la benedizione e l’imprimatur del Presidente Letta, che ha legato il suo destino a quello della ministra telefonista, affermando un “la Cancellieri sono io” che come frase storica è seconda solo a quella celeberrima del re Sole Luigi XIV.
Renzi aveva speso molto del proprio prestigio presente e futuro nella sfiducia pubblica alla Cancellieri. Peccato che il nuovo PD è ancora di là da venire. In vigore c’è ancora quello vecchio, e quello vecchio è in mano a D’Alema & C. Dove “C” sta per la vecchia guardia che non molla, che vede il sindaco fiorentino come il fumo negli occhi e che si è organizzata dapprima mettendogli contro metà del partito (Cuperlo e Civati, se la matematica non è un opinione, hanno raccolto – lasciamo perdere come e da chi – consensi che ammontano insieme a quelli di Renzi, se non a qualcosa di più) e poi costringendo l’intero centrosinistra a votare compatto per la fiducia al Letta-Cancellieri. Passata ieri in tromba a Montecitorio con 405 voti a favore e 154 contrari. Tanti saluti a Matteo, rientrato nei ranghi come un Civati qualsiasi e lasciato a sproloquiare del nuovo partito che verrà.
Da un’altra parte sproloquiava anche D’Alema, parlando del partito che c’è, del fatto che questo continuerà a sostenere un governo che gli italiani non vogliono e non hanno mai scelto, ma che è voluto dalla Casta, che ha tutte le intenzioni di arrivare in fondo alla Legislatura così come stiamo messi adesso. Cioè male, visto che siamo ridotti al punto che mentre Letta annuncia che mancano 900 milioni di euro da trovare (sic!) entro oggi a pena di reintroduzione della seconda rata dell’IMU, in un’altra stanza Saccomanni dice che non è vero nulla, che i conti sono a posto così.
Ma di questo nel D’Alema-pensiero non si trova traccia. Ciò che conta è che il sistema vuole resistere a tutti i costi, e ha ufficialmente dichiarato guerra al rottamatore per antonomasia, Matteo Renzi. Il quale a questo punto avrebbe bisogno di qualche successo concreto da poter mostrare, oltre alle consuete parole. E non può certo bastare il millantato nuovo stadio a Firenze, che ieri pare essere tornato in auge.
Se Renzi vincerà l’8 dicembre, governerà su mezzo partito soltanto. In compenso Letta rischia di governare l’Italia per altri 4 anni. E “baffino” D’Alema non sarà “baffone” Stalin, ma in mano a lui il partito è veramente quella gioiosa macchina da guerra che Occhetto sognava. Un osso ben più duro da rodere di colui che smacchiava i giaguari.

Buona fortuna, Matteo. Ne avrai bisogno. Ne avrebbe bisogno anche l’Italia, ma non crediamo sia più neanche il caso di augurarglielo.

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