sabato 24 gennaio 2015

Fiorentina-Roma, il sex appeal del nostro calcio

E’ praticamente il primo ricordo d’infanzia che ho, allo stadio con mio padre. 22 gennaio 1967, Fiorentina-Roma 2-2, Brugnera (F), Carpenetti (R), Bertini (F), Enzo (R). Per tutta la sua vita avrei sentito ripetere a mio padre che quella fu la più bella partita che lui si ricordasse di aver visto allo Stadio Comunale, non ancora intitolato ad Artemio Franchi. E con lui erano d’accordo in molti, della sua generazione. Ci ho ripensato tante volte. Viola e giallorossi da allora è come se avessero stabilito un legame kharmico. Destinati spesso e volentieri ad affidare le loro speranze di successo al bel gioco piuttosto che ad altre caratteristiche. Destinati quasi sempre a sublimare il gioco del calcio, quando si incontrano.
E’ una lunga storia di spettacolo e di prodezze, quella dei match tra Roma e Fiorentina. Uscite dal buio degli anni settanta, durante i quali rischiarono di finire fuori più volte dal calcio che conta prima di trovare condottieri dotati delle opportune motivazioni nonché risorse, si presentarono all’inizio del decennio successivo come l’unica seria alternativa allo strapotere juventino. Il 5 aprile 1980 una tripletta di Giancarlo Antognoni stese una Roma in cui già militava gente come Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo, Bruno Conti e sulla cui panchina già sedeva il mitico Nils Liedholm. I campioni del secondo scudetto giallorosso c’erano già tutti, mancava solo Paulo Roberto Falcao, che sarebbe arrivato nell’estate successiva.
Nel 1981 l’ing. Dino Viola diede il primo assalto allo scudetto juventino. Fu fermato a due giornate dalla fine dall’annullamento – a tutt’oggi inspiegabile – del gol di Ramon Turone che gli avrebbe dato la vittoria a Torino nello scontro diretto con i rivali ed il sorpasso in classifica. L’anno dopo fu la volta della Fiorentina di Pontello, uno squadrone che conobbe due sole sconfitte, una delle quali proprio all’Olimpico con i giallorossi. Tutti ricordano il colpo di tacco volante di Falcao che liberò Roberto Pruzzo per il colpo di testa del 2-0. Al ritorno a Firenze fu ancora spettacolo, con Luciano Miani che segnò il gol che eliminava i capitolini dalla corsa al titolo. Corsa che si concluse a pochi minuti dalla fine del campionato nel solito modo, con un gol annullato agli avversari della Juventus, in quel caso la Fiorentina.
Nel 1983 ancora la Roma, stavolta i bianconeri non poterono fermarla, malgrado la vittoria nella sfida diretta sia all’andata che al ritorno. Liedholm, Falcao & C. si cucirono finalmente il tricolore sulla maglia, Venditti poté cantare al Circo Massimo e la Fiorentina rimase a guardare, alle prese con una stagione di transizione in cui dovette inserire Passarella e rimpiazzare Vierchowod, passato proprio ai giallorossi. Ancora un anno più tardi, la corsa della Fiorentina si fermò sul secondo infortunio di Antognoni, quella della Roma sulla difficoltà di conciliare campionato e Coppa dei Campioni, di cui disputò la sfortunata finale casalinga contro il Liverpool.
Seguì una fase di cosiddetto “tono minore”, con l’unico acuto romanista nella stagione 1985-86, allorché Sven Goran Eriksson – poi ribattezzato Svengo dagli stessi tifosi capitolini – vide la sua squadra farsi battere dal Lecce già retrocesso a due giornate dalla fine, mentre era in rimonta su una Juventus stremata e a fine ciclo, quello dei Mundial.
Vennero poi anni a fasi alterne. A Firenze andò in scena lo psico-dramma della cessione di Baggio alla Juve e del passaggio della società da Pontello a Cecchi Gori. A Roma il “principe” Giannini non seppe far rivivere ai suoi concittadini l’epopea di Falcao & C. Si dovette aspettare il 1993 perché succedesse qualcosa di importante. Quell’anno nella capitale fece il suo esordio con la maglia della sua squadra del cuore un ragazzino che avrebbe fatto parlare di sé a lungo, Francesco Totti.
Quell’anno successe anche qualcosa che avrebbe cementato per lungo tempo rapporti non proprio idilliaci tra le due tifoserie. All’ultima giornata, una Fiorentina costruita per spaccare le ossa a tutti, era con le ossa rotte in fondo alla classifica, dopo la cacciata di Radice da parte del figlio del padrone, già allora assai intemperante. I viola dovevano vincere e sperare che la Roma battesse in casa l’Udinese. La prima condizione si verificò, un 6-0 al Foggia in cui Batistuta & C. sfogarono tutta la loro rabbia per una stagione virata in modo incredibile verso lo scatafascio. La seconda invece no, la Roma era in vantaggio fino a sei minuti dalla fine, quando consentì – in modo a detta di molti troppo accomodante - ai friulani di portarsi sul pareggio. L’Udinese restò in A, la Fiorentina andò in B, e da allora a Firenze se chiedete chi odiano di più tra juventini o romanisti ci devono pensare su, perché la risposta non è più semplice né immediata come prima.
A quell’epoca la Roma passò in mano a Franco Sensi, la Fiorentina a Vittorio Cecchi Gori. Le due squadre si sistemarono stabilmente nelle cosiddette Sette Sorelle, quelle che lottavano per lo scudetto, guidate rispettivamente da Totti e Batistuta. Ogni volta che si incontravano era spettacolo, anche se il risultato – almeno all’Olimpico – finiva per premiare sempre i giallorossi. Dopo un 3-1 a firma di Batigol nel 1992, la Fiorentina per vent’anni riportò dalla capitale a malapena un punto, nel 2006 con Tonigol. Il fuoriclasse Totti, nel frattempo laureatosi campione del mondo con la Nazionale di Lippi a Berlino, sembrava inmarcabile per i difensori viola di almeno un paio di generazioni.
Dopo il passaggio di Batigol alla Roma, il terzo scudetto romanista ed il fallimento della Settima Sorella, quella di Vittorio Cecchi Gori, con la ripartenza dalla C2 dei nuovi patron Della Valle, lo spettacolo riprese nel 2005 con una Roma sistemata stabilmente ai vertici della classifica ed una Fiorentina che remava per ritornarci. La prima vittoria fiorentina a Roma avvenne nel 2012, e fu decisiva per scongiurare un’altra retrocessione, nell’anno in cui sembrò che il progetto dei Della valle fosse andato definitivamente in pezzi. Nel 2009 Prandelli invece aveva fatto registrare uno storico 4-1 casalingo, che rimane a tutt’oggi l’ultima vittoria interna della Fiorentina sulla Roma. In quella circostanza i tifosi viola riadattarono per l’occasione la famosa canzone di Irene Grandi Bruci la città, vittoriosa al festival di Sanremo, a testimonianza dell’immutato affetto verso la capitale.
Nel 2011 il prestigio viola fu affidato alla primavera, che andò a vincere Coppa italia e Supercoppa di categoria proprio sul prato degli acerrimi rivali giallorossi. Canzone viola risuonò all'Olimpico, segnando la rinascita di un settore - quello giovanile - che una volta era un vanto per la Fiorentina (al pari della Roma) e che da dopo la retrocessione in C2 aveva stentato a rinascere.
Nelle ultime stagioni, i giallorossi sono stati l’unica indomabile bestia nera della rinata Fiorentina spagnola di Vincenzo Montella. Le ultime sei partite si sono concluse con altrettante vittorie giallorosse. Vittorie episodiche quanto si vuole, con gol di rapina segnati da Destro, Naingollan e l’ex Pablo Daniel Osvaldo dopo episodi a sfavore dei viola e da questi duramente contestati. Ma non per questo hanno fatto meno male.

La Roma torna domani sera al Franchi di Firenze per fare sette, e per non dire addio anzitempo alle sue speranze di scudetto contro la solita Juventus, già a + 5 in classifica. La Fiorentina dal canto suo ha da inseguire un quarto posto e forse anche un terzo, e confermare la sua disposizione al gioco spettacolo ritrovata nelle ultime settimane. Montella e Garcia difendono gelosamente le loro creature, che onorano il calcio italiano tenendolo inoltre a galla su un palcoscenico europeo che sembra altrimenti ormai distante, inarrivabile. Domani sera vinca il migliore. Magari, per una volta, la Fiorentina.

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