sabato 31 gennaio 2015

Genova agrodolce per la Fiorentina

I soldi non fanno la felicità. E soprattutto non vanno in campo a giocare a pallone. Almeno non direttamente. La prima Fiorentina del dopo – Cuadrado arriva a Marassi con la testa frastornata da tutto ciò che è successo in settimana, sgombra di quello che servirebbe ad affrontare il Genoa nel migliore dei modi. Di fronte ad un avversario avvelenato dai torti arbitrali veri o presunti subiti, teoricamente anche un avversario diretto per la corsa alla qualificazione alle coppe europee, la squadra di Montella dimostra di avere lasciato a Firenze concentrazione mentale e disposizione tattica necessarie ad evitare che i rossoblu la mettano sotto per almeno un tempo.
A Firenze sono rimasti anche i 31 o 33 milioni incassati dalla cessione del campione colombiano al Chelsea, nelle capaci mani del ragionier Cognigni che non li lascerà andare tanto presto e tanto facilmente. Il risultato è che l’importanza del numero 11 appare più chiara che mai proprio ora che quella maglia in campo non c’è più. Nessuno si porta via due difensori per volta creando spazi in attacco, nessuno aiuta il povero Diamanti a spartirsi le pedate avversarie nelle caviglie, nessuno dà una mano a Joaquin e Vargas a saltare l’uomo in una difesa come quella dei grifoni che pure non appare irresistibile.
Tra infortuni e squalifiche, Vincenzo Montella mette in campo i residui di un centrocampo che eccelleva per il possesso palla (confermato non più tardi di una settimana fa al cospetto nientemeno che di un’avversaria di rango come la Roma) e che oggi invece viene saltato dalle sciabolate rossoblu come una fila di birilli del bowling. Mati Fernandez e Borja Valero cominciano in formato funambolico anche oggi, ma ben presto rivelano la loro consistenza fisica ridotta al cospetto dei rocciosi e indiavolati dirimpettai genovesi. Badelj non è mai stato un fulmine di guerra, e la difesa se presa d’infilata si è fatta sovente trovare fuori posizione. Oggi tutti questi difetti saltano agli occhi in maniera eclatante, non appena il Genoa, superato un breve momento iniziale di presa di coscienza di sé e dell’avversario, comincia ad azzannare erba, pallone ed avversario.
Nei primissimi minuti Joaquin e Diamanti illudono di poter disporre della retroguardia rossoblu come credono, presentandosi davanti a quel Mattia Perin che i tifosi viola hanno imparato a maledire da alcune stagioni, e che non si smentisce neanche oggi. Ma è un fuoco di paglia, il gioco si rovescia ben presto, con gli avanti rossoblu Falque, Perotti e Nyang che sembrano altrettante ire di Dio incontenibili. Mettere insieme due passaggi di fila per gli orfani di Cuadrado appare un’impresa. Che diventa insormontabile dopo un quarto d’ora del primo tempo quando Nyang se ne va sulla fascia sinistra a Vargas e mette in mezzo.
Il francese colored del genoa fa impressione, anche perché assomiglia in certe sue discese a qualcuno che i supporters viola d’ora in avanti possono solo rimpiangere. Non ha le treccine l’ex milanista ma il suo scatto micidiale in certi momenti sembra proprio quello di Juan Guillermo Cuadrado, solo che gioca dall’altra parte. E al 14’ il pallone che offre a Sturaro, lasciato solo dalla parte opposta da Tomovic, è un rigore a porta vuota. Il laterale genoano ci grazierebbe anche, ciabattando clamorosamente sul palo opposto. Peccato che sul rimpallo Tatarusanu si trovi in traiettoria facendo carambolare il pallone in rete.
Per i viola il resto del tempo è un Fort Apache, e il portiere rumeno si riscatta abbondantemente salvando la porta in almeno un paio di clamorose occasioni, che fanno il paio con altre due nei minuti finali della ripresa. Norberto Neto è lontano ormai, così come Cuadrado (che ha già diffuso sul web nel frattempo le sue foto con la maglia del Chelsea), e per la Fiorentina comunque è notte fonda.
Sembra profilarsi un’altra Parma per la squadra che pochi giorni fa aveva messo alle corde la Roma. E’ una giornata assurda del resto non solo per i viola, alla mezz’ora accade un fatto inconsueto che sembra aumentare i segni infausti del destino. L’arbitro Nicola Rizzoli, che fino a quel momento aveva diretto abbastanza bene la spinosa gara tra un Genoa che ha passato l’ultima settimana a lamentarsi con il mondo intero ed una Fiorentina che il suo presidente Preziosi vorrebbe sempre sua vittima sacrificale (per i noti motivi risalenti all’estate del 2002), si procura una contrattura ad un polpaccio ed è costretto a lasciare il fischietto al quarto uomo Marco Di Bello, che per il resto del match durerà molta fatica a mostrarsi all’altezza del più famoso collega.
Diamanti, per esempio, viene massacrato dai marcatori genoani senza che Di Bello il più delle volte fischi neanche il fallo, mentre è pronto ad ammonire Borja Valero per un semplice fallo di ostruzione. Non pare giornata neanche per lui.
La Fiorentina dei primi cinquanta minuti è talmente brutta da non poter essere vera. Se ne rende conto anche la sorte, che alla fine le concede un’occasione forse fino a quel momento immeritata. Mati Fernandez arriva sulla tre quarti finalmente smarcato e con la palla sul piede giusto per un cross dei suoi, Babacar sul filo del fuori gioco prolunga per Gonzalo Rodriguez che da due passi fulmina di testa la Nemesi Perin.
Il Genoa accusa il contraccolpo e comincia a perdere metri e contrasti. Peccato che i viola sul campo o non hanno la cattiveria giusta o non hanno più il fiato. Diamanti deve uscire a corto di fiato (e di caviglie sane) e Montella non trova di meglio in panchina che un inguardabile Kurtic.  Risultato, il Genoa si riprende qualche metro e qualche contrasto e torna a rendersi pericoloso quanto e forse più della Fiorentina.
Montella rischia Gilardino per un Babacar che ha sprecato malamente la sua occasione da titolare fin dall’inizio. Il senegalese appare quasi svogliato, nervoso e comunque sempre in ritardo, sempre dietro il marcatore che lo anticipa su ogni assist dei compagni. Il corrucciato Gomez rimane in panchina, il figliol prodigo ex campione del mondo 2006 invece schizza in campo a far vedere fin da subito la differenza tra un bomber di razza e uno che forse lo potrà diventare, ma certo non applicandosi così poco e male. Nel quarto d’ora che sta in campo Gilardino fa vedere le streghe all’intera difesa genoana. Perin deve fare gli straordinari su di lui oltre che su un Joaquin ringiovanito e rinfrancato.
Il terzo cambio è obbligato da un risentimento muscolare del goleador Gonzalo, che lascia il posto ad un Richards capace nei minuti finali di non farlo rimpiangere, né in difesa e né in attacco. Negli ultimi minuti, che i padroni di casa giocano in dieci per l’espulsione di Burdisso a causa di un fallo plateale su contropiede di Mati Fernandez, entrambe le squadre potrebbero far proprio il match e i due portieri si superano. Anche se è proprio la Fiorentina a quel punto ad avere il predominio territoriale e a dare l’impressione di buttare via una partita che per come si è messa non potrebbe e non dovrebbe sfuggire dalle mani di una squadra che ha le sue ambizioni.
Finisce con due squadre stremate e scontente, mentre Preziosi se n’è andato da tempo per protesta contro il pareggio viola, a suo dire l’ennesima ingiustizia subita dalla sua squadra. Dove sia Della Valle invece stasera non è dato saperlo. Chissà se ha assistito di persona, almeno alla televisione, allo spettacolo della sua squadra, la Fiorentina salvata dagli estri di giocatori ultratrentenni a cui presto verosimilmente occorrerà trovare ricambi che consentano loro di rifiatare.

Parafrasando una vecchia pubblicità, un Diamanti non è per sempre. Oggi a Marassi è andata bene. Poteva andare anche meglio. Il gioco sarà sempre più duro e senza la Vespa il rischio di ritrovarsi a piedi è fortissimo. Il calciomercato chiude lunedi. E i soldi, da soli, perfino il ragionier Cognigni sa – o dovrebbe sapere – che non fanno la felicità. Uno che la butti dentro più spesso magari invece sì.

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