venerdì 2 gennaio 2015

Il Ventesimo Secolo secondo Ken Follett

Ventesimo secolo. Quello che Hobsbawm definì il secolo breve, perché cominciato in ritardo e soltanto grazie ai colpi sparati a Sarajevo da Gavrilo Princip contro l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, e perché finito in anticipo grazie al crollo di un muro, quello di Berlino, che aveva finito per simboleggiare, incarnare tutte le ideologie più o meno sballate ed illusorie che nel corso dello stesso secolo avevano preso il posto dei grandi imperi.
Se sono molti, e saranno sempre di più, gli storici che tentano di spiegarne gli avvenimenti, le immani tragedie e le passioni che li causarono, finora era mancato un narratore che sapesse rappresentarli all’immaginario collettivo come in una serie di affreschi degni di un Leonardo da Vinci o di un Michelangelo Buonarroti, come nello scorrere impetuoso di quel fiume epico romanzesco di cui aveva già beneficiato l’Ottocento, grazie a maestri come Riccardo Bacchelli o Lev Tolstoji.
Ken Follett si avvia a diventare il più grande scrittore di romanzi storici del nostro tempo. In letteratura, nell’arte in genere, certe consacrazioni arrivano in genere quando la vita degli autori si è ormai consumata, la gloria è quasi sempre postuma, tardiva. Per lo scrittore gallese sembra proprio che le Muse faranno un’eccezione, tributandogli in vita quello che gli spetta.
Dai tempi del suo primo travolgente successo mondiale, quella Cruna dell’ago che nel 1978 lo impose come maestro ineguagliato della fiction letteraria di ambientazione storica, Ken Follett ha conosciuto un successo sempre crescente. Dall’Inghilterra impegnata nella Seconda Guerra Mondiale e nella difesa dei segreti dello Sbarco in Normandia dalla spia tedesca denominata Die Nadel, l’Ago, lo scrittore di Cardiff ha saputo spaziare in tutte le stagioni e le epoche della storia inglese, americana e non solo, con impareggiabile bravura.
Ad oggi si può dire senza tema di smentita che soltanto Umberto Eco con Il nome della Rosa ha saputo stargli a pari, affrescando la sua biblioteca con la stessa vivida immaginazione ed efficacia narrativa con cui nel Galles Follett edificava mattone dopo mattone le sue cattedrali o raccontava sogni e imprese del più famoso eroe della storia anglosassone di ogni tempo: l’uomo comune.
Ken Follett, all’età di sessant’anni, era pronto ormai per la grande impresa, più o meno come il Ventesimo secolo era pronto per essere raccontato così come si era svolto, con classe narrativa pari all’obbiettività. Da sempre vicino al Labour Party, Ken Follett come ogni altro connazionale ha vissuto il passaggio dalla Gran Bretagna imperiale all’Inghilterra del Welfare State. La sua visione progressiva e progressista della storia, non solo del suo paese ma dell’Europa e del mondo, si riflette in questa narrazione che comincia il giorno in cui, nel lontano 1911, Re Giorgio V, l’ultimo monarca inglese dell’epoca imperiale, sale al trono, mentre nello stesso momento in quel Galles in cui lo stesso autore un giorno avrebbe mosso i primi passi il capostipite di una delle famiglie la cui storia attraverserà tutta la Trilogia scende per la prima volta in miniera, quasi ancora bambino, come molti suoi connazionali e coetanei dell’epoca.
Prende il via così la Century Trilogy, quando i Giganti sono ormai sull’orlo della caduta, spazzati via dalla Prima Guerra Mondiale le cui vicende occupano gran parte del primo dei tre volumi di questa epopea. Mentre il piccolo Billy Williams scende nella miniera gallese, i fratelli Grigorji e Lev peskov vivono il dramma dei contadini poveri costretti a cercare fortuna a San Pietroburgo nella Russia agli ultimi giorni della dominazione zarista. Uno finirà tra coloro che prendono d’assalto il Palazzo d’Inverno, dando il va alla Rivoluzione d’Ottobre. L’altro emigrerà in America per sfuggire alla polizia segreta, dando il via ad una nuova e variegata dinastia di self made men statunitensi.
Sul continente, si consuma intanto il dramma della borghesia tedesca e austriaca dei Von Ulrich, illusi che i rispettivi imperi possano evolvere verso un progresso sociale venato di socialdemocrazia. Negli stati Uniti, i democratici progressisti Dewar vivono l’illusione parallela di Woodrow Wilson a proposito della “guerra che pone fine alle guerre” e della Società delle Nazioni che governerà e comporrà ogni conflitto futuro.
Queste famiglie vivranno le loro vicende drammatiche fino alla fine del secolo e della narrazione. Attraverso le vicissitudini di tutti i discendenti, Ken Follett ci porta a rivivere momenti terribili e altri leggendari di quell’epopea insieme affascinante ed agghiacciante che è stata la storia d’Europa e del mondo negli ultimi cento anni. Il mondo uscito da quello che sembrava un inverno senza fine e soprattutto senza domani vive alla fine i suoi giorni dell’eternità, quando a partire da U.S.A. e Gran Bretagna le idee progressiste estendono finalmente la libertà effettiva anche alle classi ed alle etnie più povere ed emarginate.
La Russia vede consumarsi la parabola del Comunismo e dell’Unione Sovietica, fino al momento in cui un leader più illuminato di altri, Michail Gorbachev, comprende che l’unico modo per essere degni della Rivoluzione d’Ottobre è quello di compierne un’altra, dando il via a glasnost e perestrojika. Nel giro di pochi anni, accade un evento senza precedenti nella storia: quello della caduta di un regime, di un impero, di un sistema come quello sovietico senza quasi spargimento di sangue, senza una guerra o una rivoluzione inevitabilmente terribili nelle conseguenze e nel conto delle vittime.
Allo stesso modo la Germania, condannata a vivere divisa, sotto tutela, militarmente occupata, dagli effetti della follia hitleriana e dalla conseguente sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale (ancora più devastante della Prima), si ritrova nel giro di una notte a vivere quello che sembrava ormai diventato un sogno proibito per l’eternità: il crollo del muro e la possibilità di tornare un paese libero, unito, civile.
La narrazione di Follett raggiunge, se possibile, – dopo una cavalcata di tremila pagine e di tanti eventi e figure pubblici e privati – il culmine proprio nel momento in cui le autorità che gestiscono il Checkpoint Charlie, l’unico posto da cui era possibile passare dalla Germania Est a quella Ovest sotto il controllo degli eserciti occupanti, decidono come per incanto di aprire i cancelli. La gente accalcata da ambo le parti del muro eretto 28 anni prima, le molte famiglie separate da questo muro e dai drammi consumatisi lungo di esso, si ritrovano sospinti dalla marea montante della storia, dall’euforia del momento e di quello che pare un miracolo gli uni nelle braccia degli altri.
Le famiglie si ricompongono, Carla Von Ulrich, una delle ultime protagoniste sopravvissute della Trilogia, ha appena il tempo di sospirare pensando a tutto quello che ha dovuto sopportare per arrivare a quel momento. Alla storia pubblica e privata che si è appena conclusa in apoteosi: “siamo ancora qui, dopo tutto quello che è successo”. Grazie a Ken Follett, la commozione dei personaggi abbracciati sotto il Muro che crolla è la stessa dei lettori che l’hanno seguito nella cavalcata fino a questo epilogo. E’ la stessa di tutti coloro che hanno vissuto quel momento reale, il 9 novembre 1989, quando all’improvviso nella notte l’incubo, l’inverno del mondo finì. E per una breve stagione il mondo stesso poté illudersi che tutti gli incubi fossero finalmente finiti.
La storia ha un epilogo altrettanto commovente. Quasi vent’anni dopo, nel 2008, siamo all’ultima pagina con George Jakes, il colored erede di quell’emigrato russo Lev Peskov la cui famiglia ha riassunto nel suo seno il melting pot americano come forse nessun’altra. O come forse tutte le altre. Il deputato Jakes, passato dall’infanzia nei bassifondi di Washington ai banchi del Congresso attraverso l’Alabama dei segregazionisti e le marce di Martin Luther King, piange davanti alla televisione mentre ascolta il discorso con cui Barack Obama proclama la propria vittoria, primo nero ad essere eletto alla Casa Bianca.
Piange George Jakes al pensiero di tutta la lunga strada fatta da lui, dal suo paese, dal mondo intero per arrivare a quella notte. E chiude la gola per la commozione una volta di più, l’ultima, ai lettori che l’hanno seguito nella cavalcata della Century Trilogy. Così come hanno seguito il Ventesimo secolo attraverso tutta la sua incredibile, impareggiabile storia. Attraverso i giorni dell’eternità.


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