domenica 25 gennaio 2015

ITALIA ANNO ZERO: Berlusconi e il PDL di nuovo in piazza: Giustizia sempre più da riformare

14 maggio 2013

«La nostra giustizia non garantisce l'imparzialità dei giudici, calpesta troppo spesso il diritto alla libertà dei cittadini, interviene nella vita politica e vuole eliminarmi perché mi considera l'unico ostacolo che si frappone tra la sinistra e la presa del potere. Tutto ciò fa dell'Italia, un tempo la culla del diritto, un paese e una democrazia malate».
Con queste parole Silvio Berlusconi ha sintetizzato il senso della manifestazione indetta dal PDL a Brescia sabato scorso 11 maggio, inizialmente prevista a sostegno del locale candidato Sindaco Adriano Paroli e inevitabilmente trasformata ancor prima di cominciare in una pubblica dimostrazione contro il sistema giudiziario italiano da parte del leader del Popolo delle Libertà e di chi si riconosce nelle sue posizioni politiche e civili in quella che qualcuno ormai definisce la Guerra dei Vent’Anni.
A far precipitare gli eventi la sentenza di Corte d’Appello che la settimana scorsa ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni e 5 mesi nel processo intentatogli per frode fiscale sui diritti TV Mediaset. Prima ancora della requisitoria del P.M. Boccassini al Processo Ruby (chiesti altri 6 anni di galera per Berlusconi e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici), il Processo Mediaset con i suoi esiti e le sue implicazioni (e i suoi strascichi, perché ancora pende davanti alla Consulta il suo annullamento per conflitto tra i poteri dello Stato) è stato sufficiente a spaccare il paese in due.
E la frattura appare non solo di quelle difficilmente sanabili, ma anche equamente e fedelmente rappresentata nella compagine governativa, che forse non aveva, date le circostanze, la riforma della giustizia nella sua agenda ma che sicuramente adesso dovrà confrontarsi con un clima politico che proprio a causa della giustizia ha finito di avvelenarsi e che grazie alle pulsioni latenti di guerra civile mostrate dalle varie articolazioni della piazza potrebbe arrivare al punto di rottura tra le sue due anime difficilmente conviventi.
Mentre i Ministri del Governo Letta si ritirano a meditare in convento in perfetto stile Doroteo (non volevamo morire DC, ma ci stiamo finalmente riuscendo), compreso il viepremier Alfano che sabato era a Brescia a manifestare contro i giudici, la tempesta politica si abbatte su un Paese sconvolto da tante cose, e per nulla rassicurato dalle immagini che sono giunte proprio da Brescia. Una piazza che inneggia a Berlusconi e le strade circostanti che invece lo contestano, il tutto – va detto – rappresentato da una informazione giornalistica tra le peggiori di sempre, servono a tante cose: a stendere un velo, anzi, una velina su altre ben più importanti questioni sulle quali il Governo forse non ha la più pallida idea di come intervenire, ma che decideranno, anche a breve, della nostra stessa esistenza in vita; nonché a travolgere lo stesso dibattito sulla giustizia e sulla sua necessità di essere riformata, perché tra le urla non si distingue più niente, né le ragioni di chi come Berlusconi si professa innocente e fa appello ad altri «tantissimi italiani che entrano ogni giorno nel tritacarne infernale della giustizia», né quelle di chi invece lo vede da anni e ancor di più adesso come il Colpevole dei Colpevoli, il nemico da abbattere, il Grande Corruttore che ha avvelenato e per qualcuno distrutto la vita democratica di questo paese.
In sostanza, quella parte della riforma del nostro ordinamento giuridico che più di altre meriterebbe riflessione e toni pacati, perché da essa dipende l’equilibrio dei poteri dello Stato, la nostra libertà sostanziale, la nostra stessa vita, si avvicina ad essere affrontata (perché non può più essere rinviata, su questo sono d’accordo tutti, pur dandosele di santa ragione) in una temperie al calor bianco. Dal palco, Berlusconi ha dapprima richiamato alla memoria le parole rivolte da Enzo Tortora a coloro che lo giudicarono («Io sono innocente, e spero nel profondo del mio cuore che lo siate anche voi»), e poi, tra le urla contrastanti, ha declamato la sintesi della proposta di riforma del sistema giudiziario che intende finalmente presentare dopo diverse legislature sprecate, «separazione della carriere tra i magistrati che fanno le inchieste e quelli che giudicano [...] una vera parità tra accusa e difesa. I pm devono avere per i giudici lo stesso rapporto che hanno gli avvocati della difesa: devono prendere appuntamento, bussare col cappello in mano, dare del lei e non del tu [...] ci batteremo per una responsabilità civile dei magistrati».
Mentre nella concitazione generale si perdono non soltanto le sue affermazioni ma anche quelle di chi ha inteso stigmatizzare la sua presa di posizione (a cominciare dal Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura che ha parlato di «giudici baluardo della legalità, chi parla di pacificazione non appicchi incendi» per finire al Presidente della Repubblica che ha dichiarato di sottoscrivere le sue parole una per una), è indubbio che in attesa di una riforma che tutto il popolo italiano, non soltanto quello di centrodestra, avverte ormai come indispensabile si continuerà nel frattempo a «fare giustizia» in un clima di bande contrapposte e di sfiducia popolare pressoché totale. Non c’è che dire, la strada del Ministro Cancellieri è in salita che più di così non si può.

L’ultimo affondo di Berlusconi alle cosiddette Toghe Rosse a Brescia è stato un guanto di sfida: «potete farmi di tutto, ma non potete impedire a milioni di italiani di volermi alla testa del PDL». E questo appare indiscutibile. Cosa ne sarà della giustizia e del popolo in nome del quale viene amministrata, questa è ben altra questione.

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