venerdì 20 febbraio 2015

Lo nero periglio che vien da lo mare

Occhi che ci osservano ostili dall’altra sponda del Mediterraneo. Non c’eravamo più abituati. Da quanto tempo non succedeva?
Mai nella vita della maggior parte degli italiani viventi. Sono sempre meno purtroppo quelli che per età possono ricordare quella lunga e calda estate del 1943 in cui le coste della Sicilia, l’ultimo avamposto del territorio nazionale, si attendevano da un momento all’altro un’invasione nemica proveniente dalle coste del Nord Africa.
Le ultime truppe dell’Afrika Korps si erano arrese nel maggio, Erwin Rommel, la volpe del deserto che era arrivata ad un passo dalla conquista dell’Egitto ad El Alamein l’autunno precedente, era stato richiamato in patria da Hitler, che riteneva ormai persa la causa africana e voleva affidargli la difesa del vallo Atlantico, nel nord della Francia occupata. Un attimo dopo la resa del suo successore, il generale italiano Giovanni Messe, fu chiaro che sarebbe toccato all’Italia diventare teatro degli scontri a fuoco successivi.
L’operazione Husky, lo sbarco in Sicilia, prese il via nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1943, dapprima nei dintorni di Licata e poi a Gela. Anche se il primo lembo di territorio italiano a cadere nelle mani degli Alleati era stata l’isola di Pantelleria circa un mese prima, l’11 giugno. Per il nostro paese, quei giorni furono la svolta nella partecipazione alla seconda guerra mondiale. Nel giro di pochi giorni cadde un regime dittatoriale che durava da oltre vent’anni. Nel giro di due mesi fu firmato un armistizio che trasformava gli Alleati da nemici controvoglia a – appunto – alleati anche nostri, ed i tedeschi da amici fraterni per quanto improbabili in quello che erano sempre stati da prima del Risorgimento: maledetti invasori. Nel giro di una notte, quella necessaria al re d’Italia ed alla sua corte per fuggire lasciando il paese nelle mani d quegli invasori (che sospettavano e si erano preparati), la nostra guerra divenne quella che era per il resto d’Europa: una lotta di resistenza al nazifascismo in attesa della liberazione alleata.
George S. Patton
L’ultima volta, quindi, fu più una liberazione che un’invasione, e non erano quindi così ostili gli occhi che ci guardavano tra la metà di quel maggio e quella di quel luglio da Tunisi, Tripoli e gli altri luoghi dove Husky veniva allestita. Tanto è vero che - ormai un fatto assodato - ai preparativi presero parte non secondaria alcuni picciotti siciliani che avevano fatto fortuna in America: Lucky Luciano, Vito Genovese, Albert Anastasia e via dicendo. Che furono accolti a braccia aperte, insieme ai G.I. di Patton e agli Highlanders e ai Granateri di Montgomery, dai fratelli rimasti nella patria d’origine.
No, per ritrovare quella sensazione di male assoluto in agguato oltre l’orizzonte, di terrore puro pronto a scatenarsi incontrollabile alla vista di una singola imbarcazione, magari sormontata da una vela nera, bisogna andare molto più indietro. Era dalla battaglia di Lepanto, 7 ottobre 1571, che le nostre coste avevano perso l’abitudine a scrutare l’orizzonte, in cerca dello nero periglio che vien da lo mare. Gli invasori musulmani erano stati sconfitti definitivamente nel golfo di Corinto dalle marinerie di Venezia e Genova insieme a quella flotta spagnola che ancora si meritava la fama di Invencible Armada, non avendo ancora incontrato sulla sua strada Francis Drake.
Hayr-Ed-Dihn detto il Barbarossa
Da quel momento, della quasi millenaria pressione islamica sulle nostre coste era rimasta solo una più sporadica attività di pirateria, per quanto brillante quando era condotta da corsari dell’abilità di quel Barbarossa le cui spoglie mortali vengono tuttora onorate a Besiktas, il quartiere di Istanbul dove si ritirò in pensione con il rango di Ammiraglio della Marina del Sultano. Ma a parte queste scorrerie sempre più rare, quell’angoscia così bene espressa dal celebre grido d’allarme “Mamma li Turchi!” si era diradata fino a dissolversi, rimanendone memoria solo nel nostro subconscio collettivo. Dopo il XVII° secolo Islam e Cristianità sembravano avere imparato a convivere, facilitati dal fatto di essere sostanzialmente organizzati in due imperi – quello Ottomano e quello Asburgico – nessuno dei quali era in grado di soverchiare l’altro, ma tutti e due erano in grado di tenere tranquilli nei propri ranghi i rispettivi sudditi.
La Caduta dei Giganti, come l’ha definita Ken Follett con felice immagine, lasciò dopo la prima guerra mondiale e l’epopea di Lawrence d’Arabia una situazione geopolitica tra le più complesse ed instabili, in Europa, Africa ed Asia. Ma nel nostro immaginario (e nella realtà) i pericoli ormai venivano da altre parti, come si incaricò di dimostrare la seconda guerra mondiale e la successiva guerra fredda. L’Africa era tornata quasi ad essere quel bel suol d’amore di cui cantavano le marcette fasciste, o per lo meno una sponda del mediterraneo tranquilla quasi quanto la nostra. Era il Medio Oriente la sponda perennemente agitata, ma era lontana, e man mano che il pericolo sovietico e dell’olocausto nucleare si allontanavano egoisticamente ognuno di noi poteva lavarsi mani e coscienze dicendo che quello che succedeva laggiù, in quelli che una volta anche per noi erano i “Luoghi Santi” meritevoli di ogni massacro e carneficina, non era affar nostro.
Il Califfo Al Baghdadi
Fino ad adesso. Adesso nel Golfo della Sirte si affaccia l’Isis, questo soggetto sinistro capace di rinnovare nel giro di pochi mesi gesta, leggende e terrori di altri tempi e di altre cavalcate sull’onda del fanatismo islamico. Poco più di un anno fa nessuno aveva sentito parlare del Califfo Al Baghdadi e dei suoi seguaci, se non gli addetti ai lavori. In fondo le sigle che si richiamano in un modo o nell’altro alla Jihad nel mondo islamico si succedono con una rapidità una creatività ed una continuità notevoli. Fuochi di paglia o realtà che non riescono ad andare mai oltre la dimensione locale.
Questa no. Incredibilmente in poco più di un anno crea uno stato indipendente nel cuore dell’Iraq e di lì parte per una nuova cavalcata, scimitarra in pugno, alla conquista dell’Occidente. Un anno dopo impegna eserciti su un fronte che va da Mosul vicino al confine turco a Derna in Libia, sta marciando su Misurata e Tripoli, minaccia un prossimo attacco alle coste italiane, proclama orgogliosa: “Siamo sotto Roma”.
A parte la scontata e sempre rincuorante risposta del cittadino romano medio, “siete sotto Roma? Sulla Pontina? Mo’ so’ ca….. vostri, e quanno ve passa?”, lo scenario che si è delineato ha talmente dell’incredibile da meritare una riflessione approfondita, con il conforto della geopolitica, della scienza militare, ma anche di un po’ di storia.
Al Califfo Al Baghdadi, o ai suoi successori se è vero quanto sostiene l’MI6 britannico (cioè di averlo spedito a miglior vita, anche se il precedente di Osama Bin Laden, della sua vita e della sua presunta morte misteriose, autorizzano qualche perplessità) sarebbe insomma riuscito di battere il già fenomenale record del suo antico predecessore, il Califfo Omar secondo successore del Profeta Maometto.
Il dominio dell'Islam dopo le conquiste di Omar e dei suoi successori
Nel 634 Omar raccolse la successione del Profeta venuto a mancare due anni prima. Il predecessore Abu Bakr aveva dovuto impiegare i suoi due anni di regno nella sedazione della guerra civile tra le tribu scoppiata all’indomani della morte di Maometto. Omar si trovò in mano l’ordine islamico ristabilito ed un esercito formidabile che lanciò in una cavalcata leggendaria attraverso il Nord Africa. Poco più di vent’anni dopo i suoi cavalieri avevano piantato le insegne del Califfato fino in Maghreb, spazzando via tutti gli avversari egiziani, bizantini, visigoti, vandali e mauretani.
Nello stesso tempo sull’altro fronte a cui era esposta la penisola arabica, i suoi generali avevano conquistato nientemeno che l’Impero Persiano (il più antico e potente degli imperi dell’area) e tutta la cosiddetta Asia Minore (l’odierna Turchia) riducendo all’osso i possedimenti dell’Impero Romano d’Oriente. Ancora, sulle orme di Alessandro Magno ma con una velocità ed un’efficacia che ne surclassavano la gloria e avrebbero avuto conseguenze di ben altra durata, si erano spinti fino a ridosso della valle dell’Indo conquistando l’attuale Pakistan. Nel mezzo di tutto ciò, Iraq e Palestina erano diventate parti del Califfato, e Gerusalemme era stata consacrata come terza città santa dell’Islam, secondo il sogno e la predicazione di Maometto.
La vittoria di Carlo Martello a Poitiers,
prima sconfitta di un esercito islamico dopo Maometto
Questa era stata la Jihad storica, termine che secondo l’accezione del Corano, il libro lasciato da Maometto a futuro insegnamento per i fedeli, significa massimo sforzo nella direzione desiderata da Dio. Il termine guerra santa è subentrato in seguito, quando le posizioni si erano cristallizzate e due mondi ormai inconciliabili avevano iniziato la loro guerra millenaria. La cavalcata iniziata da Omar si era arrestata soltanto un secolo dopo a Poitiers sui Pirenei per mano del Re franco Carlo Martello, il nonno di Carlo Magno, il primo a salvare l’Europa dalla Mezzaluna. Del continente europeo, sarebbero rimaste in mani arabe la Sicilia, fino alla conquista normanna dopo l’anno Mille, e la Spagna, fino alla reconquista di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona conclusasi il 3 gennaio 1492.
Un record difficile da battere, quanto lo era stato da stabilire. E’ indubbio che la cavalcata di Omar e dei suoi successori, con la creazione dell’Impero prima Arabo e poi Turco, trovò le condizioni più favorevoli possibili nel vuoto di potere soprattutto militare che si era venuto a creare nel VII secolo dopo Cristo. La caduta dell’Impero Romano d’Occidente aveva lasciato l’Europa in mano ai cosiddetti regni Romano-Barbarici, che soltanto a partire da Carlo Magno riuscirono a riorganizzare una entità politica e militare capace di resistere prima alle invasioni e poi di condurne a sua volta, con le Crociate. Quando Nel 710 Tariq dette il suo nome a Gibilterra conquistandola e aprendo le porte all’invasione moresca della Spagna, Visigoti e Vandali ormai erano un boccone fin troppo facile da inghiottire.
Maometto riceve gli insegnamenti dall'Arcangelo Gabriele
L’Impero Romano d’Oriente si era dissanguato nell’eterna guerra con quello Persiano, e per poco non sparirono tutti e due sotto la Mezzaluna. Costantinopoli e la Grecia si guadagnarono altri ottocento anni di difficile sopravvivenza, sostenuti dalle Repubbliche Marinare anche quando la rinnovata vigoria dei Turchi si stava mangiando la Penisola Balcanica. In Medio Oriente, Palestina e dintorni accolsero gli Arabi come liberatori che mettevano fine all’odiatissima dominazione romana, e si può capire. L’Africa, fino alle regioni subsahariane, una volta presa Cartagine e i vecchi avamposti romani era una porta aperta.
In sintesi, Omar fu un grande conquistatore che, al pari di Alessandro Magno, approfittò di un momento in cui grandi avversari in circolazione non ce n’erano.  L’Islam fu poi due volte fortunato perché quando il bonus di questa prima conquista araba si stava esaurendo, arrivarono i Turchi, fanatici come tutti i neoconvertiti e prodi guerrieri, a ridarle vigore e a riportare il terrore in Europa per secoli.
Ora arriva questo sedicente Califfo (o chi per lui) e in un’epoca in cui l’Occidente ha un vantaggio tecnologico sul mondo arabo-islamico spaventoso riesce nel giro di un annetto a fare qualcosa che perfino il leggendario Omar avrebbe potuto soltanto sognare. No, signore e signori, c’è qualcosa che non va. C’è un limite alla verosimiglianza di tutte le storie che ci possono raccontare. Questa l’ha già passato.
Muhammar El Gheddafi, dittatore di Libia dal 1969 al 2011
Il mondo occidentale si sta dibattendo alle prese con problemi che in gran parte si è creato da solo, ma che se lasciati ancora a marcire potrebbero teoricamente travolgere le élites che in questo momento ne determinano i destini. L’Europa dapprima ha patrocinato l’improbabile Primavera Araba spodestando (per gli interessi dell’ancor più improbabile dei presidenti francesi e di pochi altri) quelli che tecnicamente erano dittatori ma che in pratica avevano assicurato alle loro popolazioni per decenni condizioni di vita neanche paragonabili a quelle di adesso, senza fanatismi, sgozzamenti e barbe di Imam. E a noi avevano assicurato una convivenza tutto sommato pacifica e prosperosa. Passato il periodo del Gheddafi jihadista, avevamo negli ultimi decenni beneficiato di un partner economico come pochi altri. Per non parlare di Egitto e Tunisia. Abbiamo così tante volte accusato gli Stati Uniti di sprovvedutezza in politica estera che adesso non è difficile immaginare che faccia stiano facendo gli amici americani godendosi i guai in cui ci siamo andati a cacciare noi, dall’alto dei nostri millenni d’esperienza e di savoir faire.
Merkel, Poroshenko e Putin
Non basta. Ci siamo giocati l’unico possibile alleato forte e sicuramente interessato a combattere lo stesso nemico, il fondamentalismo islamico. Vladimir Putin è probabilmente a questo punto talmente disgustato dalle intromissioni europee in una vicenda troppo presto rubricata – secondo i nostri standards – come un’aggressione russa all’Ucraina, da ritenerci fortunati se ci rimanda indietro vive e vegete le varie Merkel e Mogherini che gli mandiamo a parlamentare.
E per soprammercato, stiamo studiando anche come far finire ingloriosamente l’Eurozona mandando a chi – come il neoeletto governo ellenico di Alexis Tsipras – chiede di non morire più di fame degli ultimatum che avrebbero fatto la felicità di Adolf Hitler, Hermann Goering e Joseph Goebbels ai tempi del Patto di Monaco.
Come si esce da questo incartamento colossale? Vogliamo sbagliarci, ma risvegliare un antico terrore ancestrale così ben sedimentato nella nostra storia collettiva come quello della Mezzaluna ci sembra una soluzione fin troppo facile. Basta vedere cosa viene conservato sul retro dell’altare della Cattedrale di Otranto, quella teca enorme dove riposano i teschi degli ottocento abitanti decapitati dal corsaro Gedik Ahmet Pascià nel 1480, per capire a cosa ci riferiamo. E guarda caso, qual è il marchio, il brand di questo Isis, che ogni sera viene proposto alle famiglie italiane e europee all’ora di cena al telegiornale? La decapitazione in stile Otranto dell’infedele. Cioè di uno di noi, uno de “nostri”.
I teschi di Otranto
Con l’Isis non si tratta, non fa prigionieri, accumula teschi e basta (anche se poi dietro lauto compenso le nostre Greta e Vanessa ce le rende, siamo o non siamo il bancomat della Jihad?). E’ un nemico talmente perfetto da sembrare studiato a tavolino, per spazzar via dall’attenzione dell’opinione pubblica qualsiasi altra questione. Per chiamare alle armi contro il nemico alle porte. Una volta di più, lo nero periglio che vien da lo mare. Come ai tempi di Brancaleone. O di quel Papa Urbano II che a Clermont Ferrand nel 1095 bandì la Prima Crociata, spaventato dalla preponderanza dei Turchi che avevano chiuso i Luoghi Santi ai Cristiani, dopo secoli di tolleranza araba (dietro compenso, anche quello era un bancomat).
Nemmeno Urbano II avrebbe potuto chiedere qualcosa di meglio di questo Isis. Se non ci fosse stato, qualcuno avrebbe dovuto inventarlo. Che l’abbiano fatto davvero?

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