domenica 26 aprile 2015

Sconfitti da Cip e Ciop

2 aprile 1972. Per ritrovare l’ultima vittoria del Cagliari a Firenze bisogna andare indietro di tanto. E pare quasi una bestemmia citare quel precedente. Da una parte c’era la Fiorentina che dopo il secondo scudetto cercava di rifondarsi avviando una nuova linea verde, sotto la guida del barone Nils Liedholm. Dall’altra c’era il Cagliari che manteneva accesi gli ultimi fuochi della squadra che aveva vinto il suo primo e unico scudetto. 1969 e 1970, un’altra vita ed un altro calcio. Ed altri campioni. Segnò Gigi Riva al 29’ del primo tempo. Per i più giovani, andare sugli almanacchi a vedere chi era Rombo di tuono. E perché paragonare lui e gli altri 21 di allora a questi di oggi pare una bestemmia.
Nel leggere di questo precedente, il vostro cronista aveva avuto comunque un brivido. Stai a vedere che quest’anno la Fiorentina non nega niente a nessuno, soprattutto in zona retrocessione. Lunedi scorso era toccato al Verona ritirare il bonus salvezza, e si era data la colpa al turnover di Montella ed alle troppe “riserve” da lui messe in campo. Oggi in campo ci sono andati personaggi che se non possono essere definiti titolari loro, al termine di una stagione - e in qualche caso di una carriera – per certi versi esaltante, non sappiamo chi può esserlo.
Il Cagliari era quasi spacciato, e con pieno merito. A sette giornate dalla fine i punti che lo separavano dal quartultimo posto erano nove. Mancava la certificazione di morte, sportivamente parlando. Ma il Cagliari veniva a Firenze, a far visita ad una squadra che probabilmente ormai in campionato ha mollato, e che comunque soprattutto in casa propria ha fatto fin dall’inizio una gran fatica ad imporre il proprio gioco ed a ritirare a fine partita i tre punti. La Fiorentina spagnola che va avanti in Europa in Italia batte in testa, e si espone al contropiede di pedatori spesso a malapena onesti, ancorché volenterosi.
Se tu metti in campo comunque Neto, Tomovic, Savic, Basanta, Pasqual, Badelj, Pizarro, Borja Valero, Salah, Gilardino, Diamanti, puoi essere accusato di essere un inguaribile ottimista, non certo di essere un incapace. Abbiamo criticato Montella tante volte, ci toccherà morire montelliani. Questi sono i giocatori, questo è il meglio che c’è a libro paga dei Della Valle. Questa gente è arrivata alle semifinali di Coppa Italia ed Europa League. Questi dovrebbero essere in grado di regolare una squadra con un piede e mezzo già in serie B, che ha appena esonerato un allenatore – Zdenek Zeman – che predicava un calcio troppo raffinato per i piedi da ortopedico dei suoi giocatori, una squadra che all’andata la Fiorentina ha bastonato severamente a casa propria (e non è successo spesso da quando esiste la serie A a girone unico, a Cagliari abbiamo pianto di frequente piuttosto che ridere).
Se si dà risalto alle piccole cose, ai dettagli, ai segnali, Vincenzo Montella si presenta in panchina con tanto di felpa, in luogo della consueta elegante divisa. Segno di scarsa importanza data a questa trentaduesima giornata di un campionato ormai agli sgoccioli, e che offre poco a questa società ed a questa squadra in termini di obiettivi? Mah, se si dà risalto a queste cose si perde spesso la strada di casa. Meglio concentrarsi su moduli, schemi e tattiche, sul valore (anche di mercato) degli uomini messi in campo. Badando al sodo, oggi non dovrebbe esserci partita. E infatti.
Al fischio di inizio dell’arbitro Guida prende subito male. Il Cagliari è una squadra di tarantolati, quanto e più di quella della scorsa stagione. Corrono come dannati e picchiano come fabbri, con la condiscendenza iniziale di Guida. Sembra di vedere il match di un anno fa, ci fecero a pezzi prima sul piano fisico e poi su quello del risultato, negandoci una vittoria tutto sommato sacrosanta. Ma quest’anno c’è qualcosa in più: giocano anche, e alla prima occasione segnano.
Farias è difficilmente contenibile per il Tomovic di oggi. Va fino in fondo mettendo a sedere il terzino viola (voto 4, che si abbassa ulteriormente se si considerano le sue proiezioni offensive ed i suoi orrendi cross) e mette a centro area per l’accorrente Cop. Il croato è un fulmine che attraversa una difesa una volta di più costituita da statue di sale. Il pallone saetta in rete, e il piano della partita si inclina verso la salita per una Fiorentina che oggi visibilmente sarebbe rimasta volentieri a casa.
Invece c’è da correre, eccome, perché oggi il Franchi non aspetta la fine per mettersi a fischiare. Comincia subito, dimostrando di non gradire le eventuali giustificazioni di tecnico e giocatori. Il tecnico giustappunto è una maschera livida di rabbia repressa, si vede che vorrebbe esplodere tutta la sua insoddisfazione verso giocatori che ripetono senza metterci nemmeno l’anima schemi consueti e ormai obsoleti: tiki taka di qua, tiki taka di là, triangoli e passaggi laterali che perfino la squadra Primavera ormai sarebbe in grado di leggere in anticipo.
In mezzo, Borja, Badelj e Diamanti giocano a calcetto. Il Cagliari tira invece calcioni. Quando eccede, Guida è costretto a sanzionarlo con cartellini gialli, ma tutto sommato quest’oggi basta poco anche a termini di regolamento per ridicolizzare questa Fiorentina. Gilardino è stretto nella morsa della difesa rossoblu, e ciononostante riesce a ripetere la prodezza già fatta contro il Verona, un colpo di testa che meriterebbe miglior sorte. Anche Borja Valero ripete il colpo di testa eseguito contro gli scaligeri. L’esito è lo stesso, inguardabile.
Diamanti si perde nella sua lotta contro se stesso e contro l’arbitro. Poco distante, si consuma la parabola viola di Mohamed Salah, perso sulle orme di Juan Guillermo Cuadrado. L’egiziano, come già il colombiano, deve disperdere le proprie energie alla ricerca di un pallone che non gli arriva mai dai centrocampisti e di spazi che i difensori avversari hanno imparato a non concedergli. Quando si affaccia in area o è già stanco o già raddoppiato.
In difesa, Tomovic e Pasqual soffrono le ripartenze cagliaritane e finiscono per ciabattare anche nelle proiezioni offensive. Tutto ricade sulle spalle di Savic e Basanta, che non paiono oggi nel loro momento migliore. Alla fine del primo tempo, il vantaggio del Cagliari appare meritato, ed è tutto dire.
Si riparte con Vargas al posto di Diamanti, il che pare un atto dovuto, visto l’apporto inconsistente del pratese. Il peruviano ha ben altra spinta, ben altra presenza in campo, ma i suoi traversoni si perdono nella tonnara della difesa cagliaritana, in cui affoga Gilardino. La Fiorentina guadagna centimetri a poco a poco, ma sono centimetri inutili, i suoi schemi d’attacco si perdono regolarmente sulla tre quarti dei sardi, dove emergono le consuete carenze di idee per il salto dell’uomo e di soluzioni offensive.
Il Cagliari passa la metà campo una sola volta nella ripresa, al quarto d’ora, ed è il raddoppio sempre ad opera di Cop. Dagli spalti, prendendo spunto dalla pronuncia croata del nome dell’attaccante e dalla situazione ridicola proposta dal match, scende implacabile il commento: “adesso ci manca il gol di Cip!”.
Arriva anche quello. Per mezz’ora la Fiorentina schiaccia il Cagliari nella sua metà campo, e ne ricava una figura non certo migliore di quella di Paperino alle prese con i celeberrimi scoiattoli. Alla mezz’ora Vargas indovina il cross giusto per Gilardino, che ritrova il vecchio spunto da rapinatore e riapre i giochi. Ma è un fuoco di paglia che neppure i subentrati Joaquin (per l’ineffabile Borja Valero) e Mario Gomez (per l’imbarazzante Pasqual) riescono a ravvivare.
Al terzo minuto supplementare è lo scoiattolo Farias ad involarsi sulla fascia sinistra, a farsi tutto il campo e a bersi un Tomovic ormai in stato confusionale, a presentarsi davanti ad un Neto a cui le gambe di Savic ostruiscono la visuale e ad uccellarlo impietosamente. I quattro gatti che assiepavano gli spalti del Franchi se ne sono a quel punto già andati. In campo resta solo il Cagliari, sempre con un piede e mezzo in B ma con l’aura di chi ha fatto su questo prato una partita che nemmeno il Bayern di Monaco.

E’ un campionato che ricalca quelli di Bruno Giorgi buonanima e di Cesare Prandelli ultimo atto. Annate in cui guarda caso si puntò tutto sulla coppa europea. Certo è che se ci si presenta davanti a Juventus e Siviglia con questo spirito ci vuole il pallottoliere. Tornano in mente le parole di Eduardo Macia nell’ultima intervista con cui ha salutato Firenze: il bicchiere in questi anni è interamente pieno, semmai adesso serve un bicchiere più grande. Chi ha da capire capisca. Altrimenti tra poco siamo punto e a capo.

Nessun commento:

Posta un commento