mercoledì 8 aprile 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: Volpi da pollaio e volpi da uva

Si parla troppo. E’ un vizio maledetto che Firenze non riesce a togliersi. Si tratti di sport o di altre questioni cittadine. Si parla troppo, a sproposito e si conclude poco o nulla. Una volta questa era la città dove si realizzavano opere d’arte in serie, ad ogni angolo di strada, in ogni bottega, come fosse la cosa più naturale del mondo. Ora è la città dove si parla. Dove si sfotte tutto e tutti e non si prende nulla veramente sul serio. Dove poi si piange e ci si sveglia scoprendo che il mondo è andato avanti e qui siamo fermi ad una stazione ed uno stadio del 1930, ad uno scudetto del 1969, a dei viali di circonvallazione del 1865.
Arriva la Juventus per l’ennesimo capitolo di una sfida attraverso i decenni. Stavolta la sorte ed il gioco hanno messo la Fiorentina in vantaggio, basta far trascorrere 90 minuti con attenzione ed umiltà, gestendo quei doni della sorte e del gioco. Basta tenere la testa concentrata e lasciar crescere dentro di sé la voglia di rivincita che cova da tanto, da più di 30 anni, fino al momento di farla esplodere a risultato acquisito. Basta fissarsi sull’obbiettivo e tacere, risparmiando energie preziose ed evitando di stuzzicare un avversario che non ha bisogno di motivazioni particolari per venire qui a fare l’ennesima partita della vita. Perché lo ha nel proprio DNA. Vincere, vincere ed ancora vincere, sempre e comunque.
Ma no, noi no. NOI SIAMO FIRENZE. E tanto basta. E pazienza se Firenze ormai è ridotta ad un cantiere assurdo ed indegno e ad un pellegrinaggio di cialtroni multietnici che non ha bisogno delle parole di una Oriana Fallaci per indignare. Quello che conta è il Cupolone del Brunelleschi, il Campanile di Giotto ed il Ponte Vecchio, il tramonto dal Piazzale Michelangelo, la cartolina ormai spiegazzata, sbiadita che sbattiamo in faccia a tutti, infastidendo tutti. Pazienza se quella Firenze che continuiamo ad avere in testa ormai è come Katmandu, Shan-gri-là o altre città mitologiche che ormai vivono sui libri d’avventura, e non più nella realtà.
Nella realtà, Torino ci ha superati da un secolo e passa, da quando si mise a fabbricare autovetture e quant’altro, mentre qui ancora si continuava ad impagliare sedie o a levare i tarli ai mobili d’epoca. Torino che aveva perso la Capitale a vantaggio di Firenze la recuperò con gli interessi surclassando perfino Roma. E prese a dominare nello sport più amato dagli italiani, il calcio, come dominava in tutti i settori della nostra vita civile. Ma noi eravamo Firenze, e quando la bravura dei nostri presidenti di calcio non bastò più ad assicurarci occasionali rivincite ci accontentammo di sbattere in faccia le coreografie della Curva Fiesole. Loro, i gobbi, se ne ripartivano con i titoli, le qualificazioni, i punti importanti, le vittorie che una volta si dovevano conquistare a carissimo prezzo e che ora ottenevano quasi passeggiando. Ma noi eravamo e siamo Firenze.
Torino ce ne appioppava cinque in una sola serata, ma noi eravamo Firenze. La città dove ci vuole quarant’anni per costruire un tribunale che sembra il delirio di uno psicopatico all’ultimo grado di follia, nemmeno a Blade Runner avevano progettato la sede della malvagia corporazione dei replicanti a quel modo. La città dove ci sono voluti trent’anni per discutere fino allo sfinimento e poi non fare nulla di circonvallazione – tangenziale, piano del traffico e viabilità, decentramento degli uffici pubblici, risistemazione e razionalizzazione dei musei e dei luoghi artistici. Facciamo la tramvia quando perfino in Giappone arrivano a capire che è superata e pericolosa. Parliamo di nuovo stadio quando ormai riempire il Franchi è un evento da segnare sul calendario. Di centro sportivo, Cittadella, merchandising, marketing, sinergie, e fregnacce varie. Tutto per non parlare dei problemi reali. Per vincere, c’è chi spende meglio e chi spende peggio.
La Juventus progetta il nuovo stadio e tre anni dopo l’ha finito, e se ne gode i proventi. La Fiorentina litiga da sei anni con il Comune, o finge di farlo. E tutti a bocca aperta a parlare di bilanci, di plusvalenze, di bacini d’utenza. Perfino Longinotti e Ugolini vinsero dei titoli, i Della Valle zero. Ma va bene così, noi siamo Firenze, e Firenze non può tornare a Gubbio o a Gualdo Tadino. Fine che – dicono - sarebbe stata certa se non ci fossero stati questi imprenditori venuti dalle Marche, non da Sesto o da Campi, dalle Marche. Befani e Baglini chissà da dove venivano.
Noi siamo Firenze, la città che odia la Juve. E che non si preoccupa mai di organizzarsi per superarla sul campo, no. E’ sufficiente riempirsi la bocca di parole, di tappezzare tutti i social network per giorni di inutili sfottò. E poi di incazzarsi se undici giovanotti in bianconero, giustamente orgogliosi della soddisfazione che si sono tolti venendo a segnare altri tre gol qui al Franchi in scioltezza, ce li ritorcono contro.
Vestitevi bene che stasera uscite, scriveva qualcuno a Firenze su Facebook nei giorni scorsi. Marchisio è tutto il giorno oggi che si fa fotografare con la mano atteggiata al segno tre. Morata esce dal campo sfottendo una intera curva. Hanno ingollato la sconfitta dell’andata e preparato la rivincita, in silenzio. I nostri si sono beati delle spacconate e delle fanfaronate di una tifoseria che ancora non ha capito la differenza tra una squadra che vince ed una che si ferma sempre al benedetto salto di qualità. E sono scesi in campo credendo di andare ad una passeggiata, invece che ad un massacro. Ma noi siamo Firenze.

Ci sono volpi che entrano in un pollaio e fanno una strage, e l’anno dopo ci ritornano per sbranare quello che si è salvato l’anno prima. Ce ne sono altre che si fermano a guardare l’uva che poi si rivela troppo alta, ed alla fine sono costrette ad allontanarsi fingendo disinteresse: “è marcia”. Non è marcia, in realtà, ma non lo possono sapere, perché non si sono nemmeno avvicinate abbastanza.

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