venerdì 8 maggio 2015

Fiorentina fine dei giochi



Succede nella vita di tutti di incontrare prima o poi il proprio limite. Dentro di noi sappiamo più o meno qual è, sappiamo dove possiamo arrivare e dove saremmo costretti a fermarci, a cose normali e senza il concorso di circostanze più che favorevoli. Ma trovarsi di fronte alla constatazione di tutto questo è un’altra cosa. La fine delle illusioni, il brusco risveglio sono sempre dolorosi, per quanto preparato possa essere il nostro inconscio.
Succede anche alle squadre di calcio. La Fiorentina partiva per Sevilla portandosi dietro una prestigiosa imbattibilità esterna nell’Europa League giunta alla semifinale, oltre all’enorme carico delle illusioni di tutti i suoi tifosi, quelli imbarcatisi sull’aereo con lei e quelli rimasti a casa, molti dei quali già in possesso del biglietto per il match di ritorno da giocare in uno stadio Franchi che si annunciava strapieno.
Le ragioni del tifo, si sa, non sono mai facili da confutare, anche se difficilmente possono sostituirsi alla realtà. E la Fiorentina era destinata ad incontrare la propria realtà, il proprio limite, sul terreno di gioco dello stadio Ramon Sanchez Pizjuan al cospetto dei detentori della Coppa. Una sfida affascinante ed intrigante, tra la quinta della Liga spagnola e la quinta del campionato italiano, ambedue accreditate di un gioco piacevole a vedersi come pochi altri ma in entrambi i casi non sufficiente a consentire loro di fare risultato contro le rispettive prime della classe nazionali, il Real e la Juventus.
Era dunque uno spareggio per il torneo di consolazione, questa Europa League che ha sostituito solo in parte la vecchia e prestigiosa Coppa Uefa, ma che comunque distribuisce pur sempre un posto gratis nella prossima Champion’s. Una posta in palio più che sufficiente a nobilitare una stagione altrimenti da rubricare come semplicemente “positiva”.
Con il 99,9% delle probabilità sarà il Sevilla a volare a Varsavia per l’ultimo atto, quello che la opporrà al sorprendente Dnipro beneficiato da una svista alla Ovrebo oppure ad un Napoli ferito nell’orgoglio e capace di rimontare in Ucraina. Gli andalusi detentori del trofeo hanno messo sotto ed umiliato la Fiorentina con un secco 3-0. E adesso già circola a Firenze la battuta: il prossimo sponsor della Fiorentina sarà la TRE. Per chi si mettesse in collegamento soltanto adesso, il riferimento è al numero dei gol incassati mediamente nell’ultimo mese e mezzo dalla squadra viola in ogni partita giocata.
E’ bene ricorrere ad un po’ di umorismo, altrimenti come si commenta un match come questo, dove la Fiorentina per un tempo gioca addirittura meglio dei più quotati avversari mettendoli in difesa in casa propria e sprecando, anzi “strafalcionando” (ci si perdoni il doveroso neologismo) almeno quattro occasioni da gol di quelle che anche il vostro cronista di mezza età, un po’ sovrappeso e completamente fuori allenamento trasformerebbe tranquillamente?
Una squadra meno leziosa e meno idiosincratica al gol di quella viola chiude il primo tempo in vantaggio almeno per due a zero e chiude soprattutto i discorsi, cominciando a pensare se sia meglio per la finale trovare il modesto ma galvanizzato Dnipro già regolato un anno fa sempre in Coppa o il forte ma affaticato Napoli contro il quale cercare più di una rivincita.
La Fiorentina no, non gioca per segnare gol agli avversari (lo si vede perfino nell’allucinante minuto di recupero finale in cui gioca per linee laterali assolutamente compassata, come se stesse gestendo una tranquilla vittoria casalinga invece che cercare di limitare i danni per tenere viva la speranza) ma per stordirli e stordirsi di passaggi e triangolazioni fini a se stesse e a poco altro, se non a consentire agli avversari stessi un più agevole recupero del pallone ed una fulminea ripartenza che la trova regolarmente sguarnita in difesa.
La Fiorentina non chiude nel primo tempo una partita già vinta, ed anzi chiude in svantaggio. Perché il Sevilla segna prontamente nell’unica occasione da gol che ha in tutta la prima frazione. Aleix Vidal non ha nulla a che vedere con il suo omonimo Arturo della Juventus, ma nella circostanza può permettersi di piazzarla come un giocatore di biliardo, perché di difensori o di centrocampisti in maglia viola dalle sue parti non ce n’è neanche l’ombra. Un gol in fotocopia di quello preso da Biglia all’Olimpico contro la Lazio. Come dire, mai imparare dai propri errori. Di cosa parli Montella ai suoi giocatori nelle sedute di allenamento infrasettimanali a questo punto non è dato sapere.
La Fiorentina irretisce ma non segna quando ha la palla, e subisce senza remissione quando ce l’hanno gli altri. E’ un limite questo della squadra viola che ormai conosciamo bene, dopo tre anni di tiki taka montelliano. Ma a questi livelli viene fuori con una chiarezza lampante. Siamo in semifinale, è giusto che il tuo avversario non ti perdoni nessuna delle tue usuali sciocchezze. E’ giusto che un centrocampo come quello andaluso – che non è, si badi bene, quello del Barcellona, altrimenti il Sevilla sarebbe al posto del Barcellona in Spagna ed in Europa – ti sopraffaccia prima o dopo. I centrocampisti viola del resto sono giocatori da calcio a cinque o da playstation, anche questo lo sappiamo. Al Pizjuan è arrivata la certificazione.
Gonzalo e Savic, coadiuvati da una batteria di terzini nessuno dei quali è adeguato probabilmente a giocare a questi livelli, reggono finché possono. Poi, alla seconda occasione sevillana – creata da un centrocampo (nella fattispecie dall’impresentabile Badelj) che non solo non aiuta la difesa ma la mette in difficoltà perdendo sovente palla sulla propria tre quarti – devono soccombere ad un nuovo tiro chirurgico di Vidal, stavolta coadiuvato da una scelta sbagliata di Neto, che si butta a proteggere il palo più lontano ed improbabile.
Sul 2-0 per i padroni di casa, la partita è chiusa, insieme alla stagione di questa Fiorentina. Seguono quaranta minuti di agonia viola, durante i quali c’è solo – francamente – da vergognarsi di come i nostri eroi cedono psicologicamente di schianto e finiscono per farsi irridere dagli spagnoli ormai esaltati come toreri in una delle loro Plazas de Toros. Alla fine i gol sono tre, forse per compiacere – secondo la battuta – il prossimo sponsor. Cambia francamente poco. Una remuntada casalinga di questa Fiorentina a questo Sevilla appare francamente già inverosimile sul 2-0, il terzo gol di Gameiro al termine di una azione da flipper in un’area viola completamente sguarnita di difensori non sposta assolutamente nulla.
Avrebbero potuto spostare qualcosa forse i due rigori netti negati ai nostri eroi dall’arbitro tedesco Felix Brych. Del resto, i viola come si è visto nelle ultime uscite segnano – o non segnano – ormai prevalentemente su calcio di rigore o comunque da fermo (magari calciato meglio di quanto sia in grado di fare l’attuale Matias Fernandez). Avrebbero potuto, certo, ma paragonare gli episodi di Sevilla a quelli di Monaco di Baviera del 2010 come fa un Della Valle in vena di arrampicature sugli specchi a fine partita appare francamente eccessivo. Così come appare eccessivo sentir dire a Montella che “abbiamo giocato alla pari”. Per mezz’ora forse sì, poi i veri valori delle due squadre sono inesorabilmente venuti fuori.
Da Andrea della Valle, o chi per lui, vorremmo piuttosto sapere cosa ne sarà della banda viola adesso che la stagione può considerarsi conclusa (in attesa di riprova già domenica prossima ad Empoli) e che anche il ciclo aperto da Pradé e Macia tre anni fa può dirsi giunto al termine. L’anno prossimo ci sono diversi cambiamenti da fare, nei vari ruoli della squadra prima ancora che nello staff tecnico e dirigenziale.
Un esempio su tutti, ha ancora senso mantenere al centro dell’attacco un Mario Gomez che per stoppare il pallone rischia di farsi male in una spaccata degna di Heather Parisi? E se proprio ormai si è rinunciato ad Aquilani (ieri tenuto a scaldarsi per buona parte del secondo tempo malgrado non ci fosse alcuna evidente intenzione di impiegarlo a ridare vita ad un centrocampo esangue), c’è l’intenzione di andare sul mercato a cercare qualcuno in grado di stare in mezzo al campo con un po’ più di sostanza rispetto ai figuranti visti all’opera ieri sera?
Per dirne soltanto due, perché le domande sarebbero tante di più, e probabilmente anche ingenerose (nella sostanza e nei toni) se fatte in questo momento di comprensibile – per quanto prevedibile – amarezza. Un ciclo, un progetto sono arrivati al termine, anche se non sono mai stati veramente e compiutamente realizzati. Seguirà come l’altra volta un’epoca di incertezze costellata di personaggi a cui “si spenge la luce” o di schiaffoni tra allenatori e giocatori?
Chi vivrà, vedrà. Intanto è arrivato il caldo, e si sente già profumo di mare. Ite, Missa est. La stagione è finita, andate in pace.

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