martedì 28 luglio 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: IL GIGLIO NELLA POLVERE



C’è un clima surreale, a dir poco, attorno a questa Fiorentina che si appresta a festeggiare il tredicesimo compleanno del patronato della famiglia Della Valle. Nel 2002, una vita fa, questi erano i giorni della passione, morte e mancata resurrezione di Vittorio Cecchi Gori e della sua società. Che aspirava a rimanere in pianta stabile la Settima Sorella del calcio, a diventare nel frattempo il Terzo Polo televisivo e perché no, l’Ago della Bilancia politica italiana. E che quando entrò in difficoltà serie, che più serie non si poteva, non trovò un cane disposto a dargli una mano. Anzi, come sempre succede in questi casi, ne trovò molti più che disposti a mordergliela.
E’ storia arcinota, anche perché la riscriviamo e riassumiamo tutti gli anni di questi tempi, aggiungendo soltanto l’ultimo nuovo capitolo rappresentato dalla stagione appena conclusa e chiosando con le aspettative relative a quella che va ad incominciare. E’ una storia che a Firenze sanno tutti. E’ una storia che ha segnato Firenze. Al punto che una buona parte della sua tifoseria non ne ha mai superato conseguenze e strascichi, soprattutto psicologici.
Tutti sanno ormai, dal più vecchio al più giovane, che mentre nessuno si prodigava per tendere la mano allo sprovveduto Cecchi Gori, qualcuno si era già adoperato per trovargli un successore, nella gestione di quel titolo sportivo che era stato fino ad allora “vanto e gloria” della città. Dal certificato di morte dell’A.C. Fiorentina all’atto di nascita della Fiorentina 1926 Florentia Viola intercorsero solo due giorni. Quanti bastarono a molti per subire un trauma irrecuperabile (Firenze per 48 ore non ebbe più una squadra di calcio). Un record, tuttavia, a ben guardare.
Nessuno conosceva prima di quel 3 agosto 2002 la famiglia Della Valle, se non pochi addetti ai lavori e pochissimi fortunati aficionados del marchio Tod’s. Diego prima e Andrea poi divennero in breve tempo personaggi pubblici assai rilevanti e popolari. La parola “Firenze” – il brand, come si dice oggi sempre tra addetti ai lavori o aficionados di tutto ciò che è trendy – prese a far bella mostra di sé, a campeggiare subito sotto il marchio di famiglia. Impreziosendo una ditta che, con tutto il rispetto, fino a quel momento aveva potuto dispiegare le assai più modeste insegne di Casette d’Ete.
Firenze, è un fatto, deve qualcosa ai della Valle. Altre città italiane nobili cadute in disgrazia ci hanno messo molto più tempo e fatica a ritornare – calcisticamente parlando – alle posizioni prestigiose di un tempo. I Della Valle, è un fatto altrettanto certo, devono molto di più a Firenze. Il Ponte Vecchio è un brand che non ha eguali al mondo. Poterlo mostrare sulla confezione di ogni prodotto della holding marchigiana o in ogni spot pubblicitario è tanta, tantissima roba. Ognuno lo capisce da sé.
Non c’è aria di festa quest’anno per il tredicesimo compleanno dell’A.C.F. Fiorentina, come si chiama la società viola da quando abili commercialisti scongiurarono il rischio di farle ereditare i debiti della precedente gestione. Non ci può essere, perché qui a partire dai primi di giugno è successo un terremoto, e ancora siamo a cercare di stimare i danni. Al termine di una stagione travagliata ma alla fine decisamente prestigiosa nei risultati, chi ha a cuore le cose viola ha visto andare via in successione un giovane tecnico brillante che forse parlava troppo e troppo in pubblico ma che alla fine il suo quarto posto e le sue semifinali o finali le portava a casa, vecchi o meno vecchi senatori che fino a prova contraria hanno pochi o zero sostituti nella nuova generazione, campioni affermati che forse prima di essere ceduti per fare – per ora – esclusivamente plusvalenza bisognava immaginarsi per tempo come sostituirli. Il tempo era più o meno quello in cui fu ceduto il primo di una lunga serie, Juan Guillermo Cuadrado, e al suo posto arrivò Mohamed Salah. Gli altri nomi sono anche in questo caso arcinoti, e non stiamo qui a ripeterli.
Firenze è dal 2002 in poi una città spaccata in due. Da una parte chi non ha digerito i fatti di quella estate, e sogna prima o poi di rivedere un presidente in piedi sulla balaustra della Tribuna del Franchi ed un Batistuta sfondare le reti a tutti gli avversari. Dall’altra chi vive nel terrore incontrollabile di ritornare a Gubbio, a Gualdo Tadino e via dicendo. Difficile ragionare. Con una parte o con l’altra. Per i primi i Della Valle non dovrebbero neanche essere a Firenze, per i secondi tutto quello che fanno è insindacabile, per il solo fatto che loro ci mettono i soldi.
Ma forse, questa fantasmagorica campagna acquisti – si fa per dire – dell’estate 2015 sta creando un terzo partito, trasversale. Quello di chi non ci capisce più niente. A maggio, la Fiorentina era quarta in campionato ed in Europa League, e pareva bisognosa soltanto di pochi, sapienti ritocchi per tentare la scalata a cime più alte. E’ partita una campagna cessioni che forse è più giusto definire una campagna smobilitazione. Tale da rendere addirittura verosimili, se non credibili, le voci cittadine che vogliono la holding Della Valle in procinto di passare la mano. O almeno desiderosa di farlo.
Fin qui poco male, cose che nel calcio succedono e succederanno sempre. Magari prima o poi arriva anche qui l’azionista proveniente da un paese lontano, dal Sol Levante, e si comincia tutti a ridere 24 ore su 24 e a 360 gradi come fanno al Milan e all’Inter. Quello che però risulta difficilmente tollerabile è il clamoroso ripetersi di una vecchia figuraccia in mondovisione. Anzi, l’affaire Milinkovic Savic fa impallidire di gran lunga quello di Berbatov.
Lasciamo perdere quello che è successo fino a dieci giorni fa, non capisco ma mi adeguo, diceva il Ferrini di Quelli della Notte. Ma poi? Stai dieci giorni a fare una guerriglia con la Lazio che nemmeno si trattasse di portar via Andres Iniesta al Barcellona! Per chi? Per un ragazzotto senza né arte né parte, tale Sergej Milinkovic Savic in forza nientemeno che al Genk. Dopo vicissitudini degne dei Promessi Sposi del Manzoni, lo fai venire a Firenze con atterraggio a Peretola e conferenza stampa al Franchi dove l’ineffabile ragazzotto annuncia che non ha nessuna intenzione di trasferirsi qui e che con ogni probabilità proseguirà per Roma, sponda Lazio. Grazie del passaggio e tanti saluti.
Ecco, forse la città che ha dato così grande lustro e visibilità alla fabbrica di scarpe di Casette d’Ete meritava di essere trattata con altrettanto rispetto. Sotto il brand del Ponte Vecchio forse non era il caso di far campeggiare la scritta RIDICOLO come hanno fatto i signori Diego e Andrea della Valle, o chi per loro. Lasciamo perdere le zero vittorie nel palmarés di quella che fino a prova contraria è la seconda proprietà per durata della storia della Fiorentina. Lasciamo fare considerazioni di ordine politico, economico e di bacini di utenza che condizionano da qualche anno i pronostici calcistici. Ma il RIDICOLO no, cari signori. Questa non era la moneta con cui dovevate ripagare Firenze di quello che vi ha dato.
Sentire Norberto Neto appena arrivato a Torino dichiarare, a proposito della sua nuova società, “Qui la prima cosa che si nota è la precisione. Non c’ero abituato”, e rendersi conto che – piaccia o no – ha platealmente ragione, non fa bene per niente.
Ma peggio ancora fa sentire tale Gianluca Baiesi, accreditato sui motori di ricerca web come Chief Operating Officer presso l’A.C.F. Fiorentina lamentarsi pubblicamente dei fiorentini dicendo che “diecimila biglietti soltanto venduti per l’amichevole con il Barcellona sono una vergogna per la città”. Questo signore, che fino ad oggi poteva essere tranquillamente assimilato al Carneade di manzoniana memoria, ha indubbiamente scelto tempi, toni ed argomenti tra i più sbagliati per salire alla ribalta delle cronache. Ha detto – come si dice a Firenze – una “bischerata”, e per di più nel momento che era meglio stare zitti.
Qualcuno ieri, alla conferenza stampa per la presentazione del nuovo prato del Franchi (di qualcosa gli addetti stampa della Fiorentina dovranno pur occuparsi) ha molto più intelligentemente esposto una maglietta viola con su il numero 18 ed il nome di M. ERBOSO. Come dire, finalmente presentiamo qualche acquisto anche noi.
Il genio irriverente di Firenze è ancora vivo. Chissà se basterà a tenere sereni gli animi di chi assiste allo sfacelo della sua squadra del cuore. E magari si è stancato di poter soltanto vedere al di qua della vetrina, e mai potersi permettere, un paio di preziose e costosissime scarpe di fattura marchigiana. Con il brand appannato e adesso anche coperto di polvere del giglio di Firenze.

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