domenica 13 settembre 2015

Il cielo sopra New York è azzurro

Quando Martina Navratilova e Chris Evert giocarono la prima delle loro tante finali di un major tournament, Roberta Vinci e Flavia Pennetta non erano ancora nate. Era il 1978, il campo era il grass court di Wimbledon. L’americana era già il numero uno del tennis femminile, un mostro sacro, una specie di Borg in gonnella. La cecoslovacca, che poi sarebbe fuggita negli U.S.A. saltando una Cortina di Ferro allora ancora assai presente ed oppressiva, cominciò timidamente, per poi trovare coraggio e liberare i suoi colpi che l’avrebbero portata a vincere quel giorno ad a scalzare poi la Evert dal tetto del mondo.
Le nostre due campionesse gentilmente fornite dalla Regione Puglia non erano state neanche concepite dai genitori quando l’archetipo del loro tennis andò in scena per la prima volta. Navratilova-Evert diventarono quello che Borg-Connors o Borg-McEnroe erano per il tennis maschile. L’attaccante dai colpi spettacolari contro l’altrettanto spettacolare regolarità di un fondista che non sbaglia mai.
Prima del 1978 il tennis femminile era qualcosa che gli appassionati di tennis guardavano con sufficienza, una specie di manifestazione di contorno a grandi e piccoli tornei. Dopo quel primo scontro ed i successivi, il women’s tennis è cresciuto fino a quello spettacolo da stropicciarsi gli occhi (nulla più da invidiare all’equivalente maschile) che è andato in scena ieri sera sul campo centrale del circolo tennis di Flushing Meadows, New York, dove a partire proprio da quel fatidico 1978 vengono disputati gli U.S. Open, i campionati internazionali americani, quarta e conclusiva prova del cosiddetto Grande Slam, un campionato nel campionato che raggruppa i principali storici tornei di Australia, Francia, Gran Bretagna ed appunto Stati Uniti.
Titolo di merito quasi leggendario è vincerli tutti nello stesso anno, il cosiddetto Grande Slam, termine preso a prestito dal gioco del Bridge. L’impresa finora è riuscita tra i maschi solo a Don Budge nel 1938 ed a Rod Laver nel 1962 e 1969 e fra le donne a Maureen Connolly nel 1953, a Margaret Court Smith nel 1970 e a Steffi Graf nel 1988. Come si vede, impresa difficilissima che è stata solo sognata e mai compiuta da fior di fuoriclasse di tutte le epoche. Stava per aggiungersi all’elenco Serena Williams, quando è stata fermata in semifinale da Robertina Vinci da Taranto.
Partita senza alcun favore di pronostico al pari di tutti i colleghi azzurri maschi e femmine, Roberta ha ritrovato proprio qui sul concrete, il cemento che nel 1978 ha sostituito la vecchia, gloriosa erba di Forest Hills, la condizione fisica, la voglia di giocare e di vincere, di lasciare andare i colpi secondo il talento di cui Madre Natura l’ha dotata. La voglia di tornare ad alzare uno di quei trofei che per lei erano diventati abitudine in doppio a fianco di Sara Errani.
In questa vicenda, a Serena Williams è toccata incredibilmente la parte della malcapitata. Mentre all’amica di sempre e collega Flavia Pennetta è toccata quella della predestinata. Le troppe poche ore di distanza dalla semifinale alla finale hanno probabilmente handicappato la Vinci nei confronti dell’altra azzurra, accreditata da sempre peraltro di una maggiore solidità in campo. Flavia Pennetta ha finito per liberare sul campo colpi altrettanto spettacolari di quelli dell’amica. E nei momenti decisivi è stata lei a prevalere.
Alla fine, la standing ovation con cui lo stadio intitolato al grande Arthur Ashe le ha reso omaggio (sportivamente, malgrado la delusione patita dal pubblico americano per l’assenza dell’enfant du pays Williams), insieme alla Coppa consegnatale dalla presidentessa dell’U.S.T.A., la federazione americana, sono apparsi come due premi assolutamente meritati, fuori discussione per la brindisina. Che ha coronato con la vittoria nel torneo più importante del mondo una già splendida carriera, e che ha trovato il coraggio di annunciare nel discorso di ringraziamento che la sua carriera si conclude proprio qui, a Flushing Meadows, con la Coppa che fu di Chris Evert, Martina Navratilova, Steffi Graf, Venus e Serena Williams tra le sue mani leggermente tremanti per l’emozione.
Un’emozione che gli appassionati di tennis hanno potuto condividere con lei grazie alla sensibilità della rete televisiva Dee Jay Television, che ha tempestivamente deciso di trasmettere in chiaro le immagini del trionfo italiano a New York colmando così la consueta madornale lacuna causata dalla R.A.I., affidataria di un servizio pubblico ormai inesistente. Più che sulla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi nella tribuna dell’Arthur Ashe Stadium, doverosa se si considera il ruolo istituzionale di rappresentanza in occasione di un successo italiano all’estero prestigioso come pochi altri, sarebbe stato giusto appuntare le numerose polemiche scatenatesi in patria a margine di questo episodio proprio sul ruolo della televisione pubblica. Un ruolo disatteso una volta di più, a fronte del quale si è fatta apprezzare la sensibilità del Gruppo Mediaset, del cui pacchetto Premium Dee Jay Television fa appunto parte.
Ma tornando all’evento sportivo, parlavamo di emozione. Quella che le due nostre campionesse, due ragazze tra l’altro amiche da sempre (“abbiamo giocato contro la prima volta che forse non avevamo neanche nove anni”, ha ricordato Flavia Pennetta), hanno scaricato l’una abbracciata all’altra in mezzo al campo dopo la conclusione dell’ultimo punto. Quella che hanno saputo gestire alla grande nel simpaticissimo siparietto precedente la bella cerimonia di premiazione (a proposito, quanta suggestione nella cerimonia di apertura, con i Marines che srotolano la bandiera a stelle e strisce e la voce soul che intona God bless America…quanta suggestione e quanta invidia per un sentimento nazionale che noi non riusciamo più a ritrovare neanche in occasione di queste grandi vittorie). Quella intuita più che vista nell’abbraccio acrobatico di Flavia al fidanzato Fabio Fognini, tra l’altro autore anche lui di una grande impresa contro il “mostro sacro” Rafael Nadal.
Quella emozione, infine, che hanno inevitabilmente provato i più vecchi aficionados del tennis, per dirla con il grande maestro Gianni Clerici, a vedersi scorrere sotto gli occhi queste immagini, questi Momenti di Gloria, dopo una rincorsa durata molto più di una vita. Nei centocinquant’anni da che esiste il tennis moderno i nostri campioni e le nostre campionesse hanno solo potuto sognare di alzare questi trofei, con l’unica eccezione di Nicola Pietrangeli ed Adriano Panatta in campo maschile al Roland Garros di Parigi, e di Francesca Schiavone sempre a Parigi e adesso Flavia Pennetta in America in quello femminile.

E’ stata una lunga strada, che forse il buon sangue di questa nuova generazione di tenniste e tennisti saprà proseguire. Finché un giorno una ragazza come Flavia Pennetta o un ragazzo come il suo fidanzato Fabio Fognini riusciranno ad alzare l’ultima Coppa che manca. L’ultimo sogno che per lungo tempo è apparso impossibile. La Coppa di Wimbledon.

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