giovedì 29 ottobre 2015

DIARIO VIOLA: Missione compiuta



Se l’8 novembre e Valencia vi sembrano troppo lontani, il campionato di calcio di serie A manda in scena al Bentegodi di Verona un interessante anticipo della sfida Rossi-Marquez. In palio non c’è ancora la corona iridata della motoGp, ma piuttosto la permanenza della Fiorentina nelle zone altissime della classifica, e del Verona nella classifica stessa.
All’ultimo momento Paulo Sousa sorprende tutti i pronosticatori di mestiere lasciando in panchina il gettonatissimo Khouma Babacar e promuovendo titolare dal primo minuto Giuseppe Rossi. L’evento è storico, non succedeva – se non andiamo errati – da quel famigerato 5 gennaio 2014 allorché il livornese Rinaudo gli provocò il terzo grave infortunio al ginocchio della sua carriera, dopo quelli patiti quando era in forza al Villareal.
Il calcolo del mister portoghese non concede nulla al sentimento, ma si basa sulla semplice considerazione che quella di stasera è finalmente la partita di Pepito. Il Verona sarà costretto dalla sua classifica disperata a gettarsi in avanti all’arma bianca per fare punti contro la Fiorentina. Stasera non ci sarà spazio per gemellaggi ed altre amenità varie, ma presumibilmente ci saranno molti spazi lasciati nella metà campo veronese dall’attitudine offensiva fatalmente imposta ai suoi da Andrea Mandorlini. Vere e proprie praterie, perché gli scaligeri dovranno ovviare alle due pesantissime assenze in attacco – quella di Luca Toni e quella di Giampaolo Pazzini, ambedue costretti a vedere dalla tribuna una partita alla quale non avrebbero comprensibilmente voluto mancare per tutto l’oro del mondo – con uno sbilanciamento in avanti di tutta la squadra.
Alla Fiorentina dunque potrebbe offrirsi la stessa opportunità tattica che ha invece sofferto contro la Roma. Ecco dunque che la classe di Giuseppe Rossi, se supportata da una condizione fisica accettabile, potrebbe rivelarsi assai utile. Spazio dunque a Pepito e a Ilicic, fuori Baba e Berna con probabilità di utilizzo a partita inoltrata. Per il resto, Pasqual ritorna titolare dato il prolungarsi della convalescenza di Marcos Alonso, Kuba invece va a destra a cercare di ritrovare anche lui condizione giocando. Tra i centrocampisti Vecino è preferito a Badelj per affiancare Borja Valero, mentre tra i difensori Roncaglia viene premiato al posto di Tomovic e va a sistemarsi in linea con Gonzalo ed Astori.
Il tema tattico della partita è chiaro. Altrettanto lo è la “mission”. A Verona la Fiorentina deve riprendere parte di ciò che ha lasciato a Roma e Napoli, tanto più che l’Inter ha già vinto e le dirette concorrenti hanno a loro volta di fronte impegni non proibitivi. Tutto chiaro, tutto semplice, come il fatto che il Verona annaspa per non affogare e che tra le due squadre attualmente c’è la differenza di almeno una categoria.
Il problema è proprio questo: la Fiorentina scende al Bentegodi convinta di poter fare un sol boccone dei derelitti gemelli quando e come vuole. Il Verona comincia con il coltello tra i denti, i viola con quel ritmo compassato che abbiamo “ammirato” tante volte, soprattutto nella passata gestione tecnica: giro palla insistito e senza fretta, disimpegni e ripartenze accademici, concentrazione che stenta a focalizzarsi sulla partita reale, al punto che lo stesso Tatarusanu mette fine ad una settimana di polemiche compiendo probabilmente la stessa sciocchezza commessa dal portiere romanista Szczesny tre giorni fa. Come Orsato, Valeri vede o fa finta di vedere una linea di delimitazione dell’area più spessa di quello che è, ed il Tata salva se stesso e la propria squadra da complicazioni di cui oggi non si sentirebbe proprio il bisogno.
Picchiano un po’ i veronesi, e infatti fioccano i cartellini. Nessuno tra i viola se la sente di rischiare le gambe più di tanto, a cominciare proprio da Pepito Rossi, ed ecco quindi che gli investimenti tecnico-tattici di Paulo Sousa stentano a dare frutti, anche se le rare volte che il numero 22 ed il numero 9 Kalinic riescono a duettare fanno intravedere cose interessanti, soprattutto in prospettiva.
Intanto però il tempo scivola via, almeno il primo, ed il gol che tutti immaginano imminente in realtà non arriva. Ci vuole qualcosa di speciale, altrimenti si comincerà a parlare di crisi finalizzatoria di questa squadra che anche oggi finirà per tenere il possesso palla per il 60% del tempo effettivo di gioco.
Sulle fasce, Kuba da un lato e Pasqual dall’altro stentano ad arrivare sul fondo come ai bei tempi, e quando lo fanno il cross o il passaggio al centro sono più da debito d’ossigeno che da reale ispirazione. Tuttavia, quando viene pescato al 25’ da una grande apertura di Gonzalo Rodriguez, il vecchio capitano è all’altezza della situazione e del momento e mette in mezzo una palla d’oro per Kalinic. Il quale si avventa sopra da par suo, ma Gollini respinge.
C’è un vecchio proverbio legato al calcio che dice, “la fortuna è mezza squadra”. La fortuna, o nella sua rappresentazione grafica, la parte anatomica che va sotto il nome corrente di fondoschiena. Tocca al vecchio Rafa Marquez, difensore messicano di scuola Barcellona, metterci il proprio in ricaduta  e dare di rinterzo alla Fiorentina il vantaggio insieme alla conferma che – sviste con Napoli e  Roma a parte – in questo periodo la Dea Bendata non ce l’ha proprio con lei.
Il Verona accusa il colpo, e anche se appare raddoppiare la foga con cui intenderebbe buttarsi avanti alla ricerca del pareggio, lo fa in modo ancora più disordinato, favorendo i recuperi e le ripartenze di una squadra viola che comunque oggi non ha proprio voglia di dannarsi l’anima. Innumerevoli sono le volte in cui Ilicic, Borja Valero & C. avrebbero l’occasione di prendere d’infilata i padroni di casa imbeccando le due punte, l’americano ed il croato, ma manca sempre un centimetro di precisione o c’è sempre una frazione di secondo di troppo perché si riesca a finalizzare.
Tra la fine del primo tempo e l’inizio della ripresa, la Fiorentina cerca il raddoppio in surplace, prendendo soprattutto falli e qualche volta restituendoli. Curioso che gli unici due ammoniti tra i viola siano i suoi giocatori più tecnici, Borja per aver gettato via il pallone dopo il fischio dell’arbitro, Rossi per aver restituito alla fine uno dei tanti stronchini subiti da Matuzalem, un altro con cui il tempo non appare essere stato clemente.
E’ l’ora dei cambi, Bernardeschi rileva Kuba e si sistema subito dalla sua parte alternando il fioretto alla clava a seconda di ciò che richiedono le circostanze. Poi, quando sembra scoccata l’ora di dare respiro a Pepito, eccolo partire a sinistra – è il 22’ – e mettere in mezzo una rasoiata perfetta che attraversa tutta l’area piccola per arrivare sui piedi di Nikola Kalinic appostato come il destino sul palo più lontano.
Rossi può lasciare il posto a Badelj sotto gli applausi scroscianti di un intero stadio (commovente il pubblico veronese, che all’inglese incita per novanta minuti la sua squadra senza mai dimenticare la sportività nei confronti degli avversari). La Fiorentina può giocare gli ultimi venti minuti senza la paura di fare qualche sbadataggine e di pagarla soprattutto cara. Si fa male Astori a dieci minuti dalla fine e chiede il cambio. C’è spazio anche per Tomovic e si rimette a sedere in panchina Mario Suarez, non è ancora il momento per lui di mostrare eventuali progressi.
Il tempo passa in mezzo ad una noia quasi benedetta per i supporters viola, che vedono la loro squadra restare salda al secondo posto senza patemi. Per lo spettacolo, quello vero, ci sarà tempo e modo più avanti. Adesso c’è soltanto un sogno da tenere vivo, dopo gli incubi della settimana scorsa. E arrivare a gennaio più o meno dove siamo, per passare di nuovo la palla agli uomini – mercato.
Ci sono state edizioni più spettacolari di questo Verona – Fiorentina (gli amici scaligeri possono per parte loro confermarlo, a maggior ragione). Ma è e resta un campionato da godere fino in fondo. Gli occhi di Paulo Sousa – sarà una nostra suggestione – cominciano ad assomigliare a quelli della tigre.


Nessun commento:

Posta un commento