lunedì 2 novembre 2015

DIARIO VIOLA: Gli occhi di Paulo Sousa

Non ci sono precedenti ufficiali per la Fiorentina contro il Frosinone, ma ce ne sono diversi in questo genere di partite, dove è ammesso un risultato solo: la vittoria. La Roma ha fatto flop a San Siro, facendosi superare dall’Inter. La Fiorentina ha di fronte un turno di campionato sulla carta giudicato facile, un assist per tornare subito in testa alla classifica, a pari merito con i nerazzurri.
Il Frosinone è una di quelle squadre che secondo l’immaginifico presidente Tavecchio in serie A non ci dovrebbero nemmeno stare. A conferma, si è presentata andando a pareggiare in quel di Torino contro i campioni d’Italia della Juventus, pur nella versione per ora assai dimessa di questi ultimi in questa stagione. Ha continuato poi rendendo dura la vita a Roma e Lazio.
Insomma, tavecchiate a parte, questa è una di quelle partite dove chi ha i favori del pronostico ha tutto da perdere, e soltanto da perdere. Se vinci hai fatto il tuo dovere, se perdi fai un botto più forte che a Capodanno. Una partita che ha in sé più veleno di un cobra, nascosto tra i suoi umori. Scendi in campo per regolare una Pistoiese, un Pescara. Per di più a mezzogiorno e mezzo, “sbrighiamoci che ci s’ha le paste su i’foho”, recitava uno splendido striscione qualche tempo fa. E invece la prendi sottogamba e quelle regolano te. E addio sogni di gloria, almeno in questo caso.
Paulo Sousa è un uomo di coraggio, l’abbiamo scritto più volte. Ed è un uomo che ci crede. Innanzitutto alla possibilità di giocarsela su tutti i fronti. L’Europa League non è ancora persa, giovedi a Poznan la Fiorentina può recuperare molto di quello che ha sperperato finora in casa propria. Il calcolo del mister è semplice, lapalissiano. Stavolta le “riserve” le schiera subito, magari motivate come solo lui sembra saper fare, ad affrontare questo cobra velenoso sotto le mentite spoglie di una matricola votata alla sconfitta. Gli altri, i titolari, andranno tenuti in serbo per il freddo autunno polacco. Per non far diventare subito ancora più fredda una annata che è partita con il tepore delle migliori promesse.
E quindi, Tatarusanu, Tomovic, Gonzalo, Roncaglia, Pasqual, e fin qui – attesa per il rientro di Alonso a parte – più o meno siamo nella norma. Poi, Mati Fernandez, Mario Suarez, Milan Badelj, Khouma Babacar, Borja Valero, Ante Rebic. Se tutto va bene, mister sugli scudi, dimenticati Prandelli e Montella, Sousa è il più grande. Ma se le cose vanno male, immaginarsi le critiche. Che a Firenze basta poco ad innescare, anche nelle migliori annate.
No, Paulo Sousa ha gli occhi della tigre. Dovunque ha allenato si è fermato poco, mai più di due anni (e questa è una preoccupazione che hanno, alla Fiorentina). Poi, se n’è andato via, ma dopo aver vinto (e questa è una speranza che hanno non soltanto alla Fiorentina ma anche in tutta la tifoseria). Paulo Sousa è uno che guarda lontano, quel primo posto lo rivuole e vuole tenerselo. La Fiorentina le ha affrontate quasi tutte, quelle forti o presunte tali. E francamente nessuna è stata più forte di lei, a parte i risultati. Paulo Sousa quindi oggi gioca per vincere e tornare capolista.
Appena l’arbitro fischia, Paulo Sousa trova anche il ruggito della tigre, e per tutta la partita non darà tregua ai suoi ragazzi, incitandoli ad una intensità di gioco che rasenta a tratti il parossismo. Anche quando il risultato ha assunto contorni tali da ridurre questa partita ad un match infrasettimanale di allenamento ai Campini.
Si parte, e sembra tanto di dover riassistere ad un nuovo Baba Day. Nel primo quarto d’ora il senegalese naturalizzato viola potrebbe segnare almeno tre volte. Nella prima occasione viene trattenuto in modo sospetto, nelle altre due il portiere Zappino fa un miracolo e tre quarti: la prima volta para d’istinto sul suo palo, la seconda smanaccia Dio solo sa come una deviazione da un metro diretta sotto la traversa.
Non c’è tempo di disperarsi, né di paventare strani timori di reincarnazione di un certo Pescara che aveva in porta Mattia Perin. Alla metà del primo tempo, le preoccupazioni volano via spazzate come le nuvole in cielo dal tramontano di questi giorni. C’è un altro che vuole tanto vivere la sua giornata. Ante fa rima con Dante, e a Firenze ciò non è poco. Il giovane Rebic si trova una palla in area con cui si può fare di tutto, crossare o tirare. Per non saper né leggere né scrivere il croato fa tutt’e due. Ne viene fuori una parabola che sembra una pennellata di Giotto e che carambola alle spalle di Zappino. Lassù qualcuno continua ad amarci (anche perché forse c’era prima un rigore per il Frosinone), o perlomeno a non detestarci più come in passato.
Da quel momento, vuoi per aver sbloccato il risultato vuoi per gli urlacci della Tigre Sousa dal ponte di comando, la Fiorentina comincia a giocare sul velluto. E quando questa squadra può giocare sul velluto non perdona. Passano cinque minuti e Mati Fernandez va a battere sulla sinistra del fronte d’attacco una punizione delle sue. Una di quelle che prima di lui avevamo visto battere l’ultima volta nientemeno che a Manuel Rui Costa. Il tiro è ad effetto, una rasoiata che entrerebbe forse in porta da sola ma che Gonzalo Rodriguez vede bene di correggere in rete con un colpo di tacco. Oggi si segnano soltanto gol da cineteca.
Due minuti e Diakité (si, proprio lui, quello che insieme a Richards faceva tanto disperare Montella quando doveva assegnare le maglie ai difensori titolari) tira giù in area un Mati Fernandez oggi in netta ripresa. Rigore netto. Sul dischetto va Babacar che vuole a tutti i costi il suo spicchio di gloria. E che ti inventa? L’avevamo visto fare solo un paio di volte, a gente che si chiama Francesco Totti o Adrian Mutu. D’accordo, l’occasione non è certo una finale mondiale, ma insomma fare un cucchiaio su un rigore davanti ad uno stadio che ancora non ha deciso se sei un campione o no, è roba da coraggiosi. La fortuna oggi aiuta i coraggiosi, 3-0.
E’ finita? Macché. Siamo al 42’ ed è il momento per un altro figliol prodigo di cominciare a tornare alla casa viola. Mario Suarez prende palla sulla tre quarti avanzata d’attacco e dopo una finta di quelle che al suo paese fa soltanto Iniesta lascia partire una fucilata che stende Zappino per la quarta e definitiva volta. Si va al riposo con un risultato rotondo che sembra facile soltanto adesso che è stato conseguito, e con tanto bel gioco negli occhi. A questo punto ognuno può scegliere: andare a togliere le paste da i’foho, o restare ad assistere ad un allenamento della Capolista.
A chi resta, tocca vedere la sostituzione nell’intervallo di Babacar con Verdu (pare soltanto lieve contrattura per il centravanti), e quella di Roncaglia con Giuseppe Rossi. Resa possibile quest’ultima – al pari dell’esordio del giovane Lezzerini al posto di Tatarusanu – dal fatto di aver ampiamente chiuso la partita. L’ultima mezz’ora trascorre con i tentativi viola di far segnare Pepito, una prodezza di Verdu, ed un gol della bandiera del Frosinone segnato da Frara, che tutto sommato appare anche meritato perché i laziali non si demoralizzano e continuano la loro dignitosa partita fino alla fine.
La Fiorentina può andare a pranzo nuovamente prima in classifica. E disporsi ad aspettare i prossimi decisivi ma non proibitivi impegni con rinnovata consapevolezza. Giovedi una classifica rimasta non proprio ostile malgrado le castronerie fatte in casa può essere rimontata con una vittoria sul terreno degli ultimi in classifica del campionato polacco. Domenica c’è la Sampdoria che con tutto il rispetto non pare più quella di Mihajlovic. Due sconfitte in altre circostanze devastanti come quelle subite immeritatamente contro Napoli e Roma sono state assorbite con la facilità di chi sta acquistando coscienza della propria forza giorno dopo giorno.
Gli occhi di Paulo Sousa, quando non lampeggiano inquietanti come quelli della tigre, dicono una cosa sola: giochiamocela. Fino in fondo.

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