mercoledì 25 novembre 2015

DIARIO VIOLA: Turnover, chi era costui?



 “Nel corrente utilizzo giornalistico e popolare, si definisce derby una partita di calcio giocata tra due squadre della stessa città. Per estensione, il termine derby può poi venire utilizzato per riferirsi ad un incontro molto sentito fra squadre con accese rivalità agonistiche o che appartengono a una comune entità geografica” (cfr. Wikipedia).
Tralasciando approfondimenti storici che rimandano all’origine del termine (mutuato nientemeno che dall’ippica, ma crediamo che stamattina nessuno dei nostri lettori abbia voglia di appassionarsi alle vicende di Edward Stanley, dodicesimo Conte di Derby), basti qui dire che nel corso di una stagione una squadra di calcio di questi incontri “molto sentiti” ne gioca diversi.
Non fa eccezione la nostra Fiorentina, che nella realtà della regione di cui Firenze è capoluogo deve far fronte alla gestione di tante rivalità quante sono le città e cittadine dotate di squadra di calcio presenti sul territorio. Più che di Derby sarebbe comunque lecito parlare di “campanile”, suona più nostrano e rende meglio l’idea.
Non fa eccezione Empoli, periferia di lusso della provincia di Firenze, che con buona pace delle recenti innovazioni istituzionali e amministrative stenta a vedere nel capoluogo il cuore di una città metropolitana comune, ma piuttosto nutre verso di esso sentimenti ambivalenti. Amore poco (crediamo), odio nessuno (speriamo), rivalità tantissima (è un dato di fatto).
Insomma, per farla breve visto che siamo a commentare un pareggio casalingo che costa alla squadra viola il primato in classifica, quell’essere capolista che aveva ridestato – o destato per la prima volta – sensazioni nuove del tutto dimenticate o sconosciute nei suoi tifosi, l’Empoli viene, è sempre venuto e verrà sempre a Firenze a fare la partita della vita. Ed a giocarsela alla morte.
E’ un dato di fatto costante, così come è o dovrebbe essere l’altro secondo cui dei baldi giovani sufficientemente allenati di vent’anni o poco più se non reggono loro tre partite ad alto (ma non ancora altissimo) livello ad inizio stagione vorremmo tanto sapere al mondo chi le regge. Ora, un’altra parola per cui bisognerebbe ricorrere a Wikipedia (almeno per sapere chi l’ha inventata e con chi rifarsela) è turnover. Quella pratica invalsa nel calcio italiano secondo cui se giochi domenica poi non giochi giovedi All’estero tutti corrono come dannati per quasi dieci mesi su dodici, la rosa dei titolari effettivi per l’intera stagione si aggira mediamente intorno alle 14 unità, qui da noi no. Non sia mai, non puoi farti Empoli e Basilea una dietro l’altra. Ci vuole la panchina lunga.
Mi rendo conto che l’ho presa larga, ma commentare questo 2-2 casalingo tra Fiorentina ed Empoli è dura. Anche perché rischia di diventare come la Corrazzata Potemkim per Fantozzi: una boiata pazzesca. Quei due punti persi che alla fine non vorremmo trovarci a dover rimpiangere per nessun motivo al mondo. Paulo Sousa non è uno che segue le mode, né uno che ha paura di chiedere ai suoi il massimo, ed anche qualcosa di più. Non solo, ma ormai è sulla panchina viola da oltre tre mesi e qualche esperienza, in positivo e in negativo, ormai se la sarà fatta. Qualche gerarchia di valori tecnici se la deve essere formata nella mente. E allora perché questo turnover, rivelatosi alla prova dei fatti più dannoso della grandine? Che lascia a fare la capolista un’Inter utilitaristica che non è parsa proprio avere qualcosa in più di questa Fiorentina, se non una estrema concretezza? Che ci ritira addosso un Napoli Higuain-dipendente finché si vuole, ma a cui al momento non si può concedere vantaggi, mentre già nello specchietto retrovisore cominciano ad apparire in lontananza quei colori bianconeri che quest’anno sembravano fuori gioco, attardati in fondo al gruppo degli inseguitori in netto ritardo?
Diciamo la verità, avesse commesso questo errore quel Vincenzo Montella che abbiamo definitivamente salutato in settimana dopo il suo approdo a Genova non gli sarebbe stato risparmiato nulla di nulla. Il suo successore Paulo Sousa è ancora – e giustamente – in luna di miele con addetti ai lavori e tifosi, e pertanto secondo costume gli si perdona tutto. Anche se questo pareggio con l’Empoli rischia di rivelarsi più funesto della sconfitta interna con il Verona l’anno scorso. Quest’anno del resto ci si gioca molto di più, a detta anche dei patron Della valle, ieri spettatori interessati ed appassionati del derby toscano.
Probabilmente questo match infrasettimanale nella sua città di provenienza, oltre che essere decisivo per il prosieguo della sua squadra in Europa League, provoca delle turbative psicologiche aggiuntive nel mister portoghese. A Basilea Sousa non vuole sfigurare, prima ancora che perdere, e si può capire. Ecco perché lascia fuori un Bernardeschi in grande spolvero e mette in campo un Rebic che definire imbarazzante è un complimento, preferisce a Badelj un Mati Fernandez che non fa altro che pesticciare i piedi a Borja Valero, il quale deve giustamente andare a liberarsi della sua marcatura prima ancora che di quella degli avversari empolesi. Ma soprattutto, con il rientrante Alonso ancora a scartamento ridotto sulla fascia, affida il cuore del centrocampo ad un Suarez che per quanto apparso in ripresa ancora non può reggerne il peso, e quello dell’attacco ad un solitario Babacar che non potrebbe farcela anche se fosse meno indolente e indisponente di quello che – purtroppo –conferma di essere.
Basta un quarto d’ora di un Kalinic ai suoi consueti livelli per regolare la pratica Empoli. Peccato che nel primo tempo in campo – contro la Fiorentina B – ci sia stato appunto solo l’Empoli che ne ha fatti due e ne poteva fare anche tre. Sì, perché se è vero che le partite vengono decise dagli episodi, il primo gol di Livaja sarà anche partito dal fuorigioco, il secondo di Bouchel sarà anche un tiro della domenica, ma su Saponara c’è un rigore di Astori abbastanza netto. E allora lasciamo stare l’arbitro Banti, le partite vengono decise dai giocatori buoni e dallo spirito con cui vengono mandati in campo. Con Kalinic e Benardeschi dall’inizio la Fiorentina oggi sarebbe ancora capolista (lo sarebbe comunque se la traversa non dicesse no alla tripletta del croato) e partirebbe per Basilea con ben altro spirito. Il resto son discorsi.
A fine partita Sousa ammette il suo errore di formazione. Grazie Paulo, ma per una volta non ci basta. Proprio tu ci stai abituando a guardare oltre, fino in fondo, fino a quello che può esserci al termine di questa stagione in termini di risultato finale e di oggettistica da alzare al cielo. Hai voglia a dire che fai le omelettes con le uova che ti danno. Avrai capito che non tutte le uova che ti hanno dato sono pregiate allo stesso modo, alcune ti fanno mangiare da re anche con una semplice frittata, altre sono puramente decorative. Ed in ogni caso siamo in uno di quei momenti della stagione in cui è meglio mettere in campo coloro con i quali si va sul sicuro.
E’ il momento in cui bisognerebbe provare ad allungare, sfruttando anche un calendario non proibitivo. E invece siamo sempre lì, intruppati con squadre che a differenza della Fiorentina non regalano nulla. Sarà bene stare attenti a come l’Ospedale Meyer spenderà la generosa donazione fattagli dai Della Valle la settimana scorsa, ma anche a come verrà gestito il capitale accumulato in queste tredici giornate di campionato.
Caro Paulo, giocati pure il tuo amarcord a Basilea, se va bene siamo i primi ad esserne felici. Poi a Sassuolo c’è un altro “derby”, contro un’altra provinciale da non sottovalutare e che invece sarà facilissimo sottovalutare.
Scuse accettate, per l’amor di Dio. Ma che non risucceda più.

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