venerdì 6 novembre 2015

ROAD TO BASEL: SuperJosip returns

Su qualche muro di casa di Firenze si vedono ancora, scritte ormai praticamente indelebili che nessuno vuole o può toccare, probabilmente prese anche sotto tutela dalla Soprintendenza alle Belle Arti. Grazie Lech Poznan. Sono lì dal dicembre 2010, da quando alcune mani ignote ma sicuramente viola intesero esprimere gratitudine alla squadra polacca per aver eliminato la rivale di sempre, la Juventus, dall’Europa League.
Era una Juve non nella sua edizione migliore, sulla sua panchina sedeva quel noto surplus di antipatia che rispondeva e risponde al nome di Gigi Del Neri. I bianconeri fecero clamorosamente 3-3 in casa. In Polonia, dove già infuriavano i primi rigori di quell’inverno che una volta aveva sconfitto nientemeno che Napoleone, fu un 1-1 più da hockey sul ghiaccio, maturato su un campo che definire ai limiti dell’impraticabilità era un eufemismo.
Tanta acqua è passata (e congelata) sul fiume Warta che attraversa la città di Poznan, capoluogo del Voivodato della Grande Polonia e una delle capitali culturali ed industriali del paese che ha dato i natali al nostro Kuba Blaszczykowski. Tanta acqua ed anche un campionato europeo in cogestione con l’Ucraina, che ha lasciato in eredità alla città uno stadio veramente bello. Avveniristico per noi che veniamo dai resti di quella che fu Italia 90. Oddio, basta uscire dai nostri confini per trovare impianti che stringono il cuore di commozione ed invidia. Ma questo di Poznan è veramente bello.
Bella era anche la squadra che vi giocava nella scorsa stagione, intitolata a Lech, il leggendario fondatore della nazione polacca. Talmente bella da laurearsi campione di Polonia, il settimo titolo della sua storia cominciata nel 1922. Poi qualcosa è successo, Poznan adesso naviga nel mare tempestoso del fondo classifica. Ciò non gli ha impedito all’andata di sorprendere una Fiorentina B in chiaro atteggiamento di presa sottogamba. Stasera non ci sarà tempo né modo comunque per i viola di rinverdire piacevoli ricordi o stabilire eventuali gemellaggi anti-juventini. La classifica bizzarra di questo che sembrava un girone ampiamente alla nostra portata di mano offre una situazione da ultima spiaggia ai ragazzi di Sousa: sono ancora a tempo a qualificarsi, a condizione di non sbagliare più. Dentro o fuori, vincere o morire, almeno in Europa.
Paulo Sousa in conferenza stampa presenta la partita come una ripetizione (preferibilmente in meglio) di quella d’andata. Dobbiamo creare le stesse occasioni da rete – dice in sostanza – e stavolta sfruttarle. Sarà sufficiente. In effetti tra Poznan e Roma la Fiorentina si mangiò in casa tanti gol da fare indigestione, restando con il proverbiale pugno di mosche in mano. Non dovrebbe essere difficile, almeno contro i polacchi, combinare qualcosa di più e agganciare almeno il secondo posto in classifica.
In realtà, il mister sa bene che stasera sarà tutt’altra partita. Il Lech vorrà sfruttare la congiuntura favorevole creatasi con la vittoria di Firenze. Tutti indietro, muro di pedatoni su palla o gamba e ripartenze che possono anche essere pericolose, come si è visto al Franchi. Ecco allora che un allenatore che ha già dimostrato di non essere per niente scolastico tira fuori dal cilindro l’ennesima formazione a sorpresa, tra l’incosciente ed il coraggioso (questo lo stabilisce sempre il risultato, dopo).
Sepe; Tomovic, Rodriguez, Astori; Blaszczykowski, Vecino, Suarez, Bernardeschi; Mati Fernandez, Ilicic, Rossi. Fiducia al portiere di riserva che deve dimostrare di valere più di quanto fatto vedere finora. Fiducia all’enfant du pays Kuba (i suoi connazionali non gli riserveranno particolari manifestazioni d’affetto, ma con la loro squadra sotto nel punteggio è normale), fiducia al redivivo Suarez accanto al concreto Vecino. Prima linea leggera con Bernardeschi e Rossi, con Ilicic a fare un po’ il trequartista e un po’ la punta, a seconda dell’estro e delle circostanze. Fiducia a Mati Fernandez che deve dimostrare in una partita di mazzolatori di non essere solo un giocatore bello a vedersi ma poco concreto. Fuori gente del calibro di Borja Valero e Kalinic, per non parlare di un Babacar che sembrava ovvio stasera.
L’introduzione è stata lunga, e ce ne scusiamo. Del resto per raccontare questa partita basta poco: 88 minuti più 3 di recupero che aggiungono poco o nulla al nostro archivio personale di immagini calcistiche. Bastano invece due minuti del miglior Ilicic per mandare avanti questa Fiorentina in Europa (a meno di sciocchezze ulteriori commesse a Basilea o in casa con i dopolavoristi del Belenenses).
E’ una partita strana, in cui si fanno apprezzare alcune individualità piuttosto che la squadra intesa come collettivo. Non gioca bene la Fiorentina, ma gioca all’altezza. Non è una partita da fioretto, ma bensì da clava. E viene da pensare, vista la facilità relativa con cui il punteggio si muove dalla parte dei viola, che se vinci anche quando la prestazione è, insomma, un po’ così, allora deve essere proprio il cosiddetto “anno buono”.
E’ una partita di pazienza e fatica, come ammetterà il mister Sousa alla fine. E i suoi la interpretano con pazienza e fatica. Prendendo più botte di quante palle riesca loro di giocare, come Pepito Rossi. Tentando caparbiamente di sfondare le folte e fortificate linee nemiche, come Bernardeschi e Mati Fernandez, che macinano chilometri in attacco e quando serve anche in difesa. Aspettando, con il caratteristico atteggiamento sornione che stasera ha il segno positivo, l’occasione favorevole, come Josip Ilicic. Sapendo che prima o poi arriverà.
Uno dei due minuti memorabili di questa partita è il 42’ del primo tempo. Rossi tenta una delle sue giravolte vicino al limite dell’area avversaria e prende un pedatone, sopravvivendo miracolosamente. Sul luogo della punizione concessa dall’arbitro lituano Gediminas Mažeika, si reca Ilicic che con estrema sicurezza allontana tutti i compagni e si concentra. Nei suoi occhi c’è una convinzione che fa ben sperare. E infatti, il tiro è alla Maradona. 1-0 e si va negli spogliatoi con la testa finalmente fuori dall’acqua, e spensierata. Ha molto da farsi perdonare il buon Josip, soprattutto un ottavo di finale di Europa League contro la Juventus ed una finale di Coppa Italia contro il Napoli. Finalmente ha cominciato a restituire qualcosa alla sua squadra.
Nella ripresa, si assiste a due tiracci del Poznan fuori quanto basta per arrestare comunque i battiti di tutti i cuori viola. Poi a dei cambi tra l‘obbligato e l’opportuno, che però appaiono spostare poco in termini di equilibrio tattico: Kalinic per Rossi, Marcos Alonso (apparso tornato lui, senza conseguenze, evviva) per Kuba, Badelj per Mario Suarez. Il croato venuto da Dnipropetrovsk per la verità stasera sembra avere un atteggiamento come di chi aveva fatto altri programmi piuttosto che giocare (oppure ha soltanto bisogno di tirare il fiato, e ciò spiegherebbe il suo mancato impiego dall’inizio).
Ma stasera SuperNikola non serve, perché c’è SuperJosip. Minuto 83’, Badelj recupera palla, serve Mati che taglia in profondità la difesa polacca lanciando a rete Ilicic. Il quale si fa quasi mezzo campo arrivando a tu per tu con il portiere Buric fresco come una rosa e implacabile come il giocatore che avremmo sempre voluto che fosse stato. 2-0 e Fiorentina che può festeggiare lo scampato (si spera) pericolo di una prematura e dai pericolosissimi contraccolpi eliminazione dalla competizione europea.
La notte polacca non è così gelida come quando il Lech eliminò la Juventus, anzi è altrettanto dolce per i colori viola. La Fiorentina prosegue in questa sua stagione dai contorni ancora indefinibili, dando la sensazione di avere le idee molto chiare su dove possa e voglia arrivare, almeno quanto ce le ha chiare il suo tecnico. Che per ora applica alla grande la proprietà commutativa: invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.

Grazie ancora Lech Poznan. Avanti viola.

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