lunedì 29 febbraio 2016

Il giorno che non esiste



Passerà, come tutti i giorni. Probabilmente nell’indifferenza generale di questo mondo sempre più frenetico, che non ha più tempo di curarsi de minimis, come il calendario. Ma a differenza degli altri giorni, non tornerà l’anno prossimo. Tornerà nel 2020. E’ il 29 febbraio, il giorno in più dell’anno bisestile. Qualunque cosa succeda oggi, un giorno particolare già di per sé.
Fin dall’antichità, il calendario che scandisce le nostre vite terrene e lo stesso computo degli anni a fini storici e civili è costruito sul moto degli astri. In particolare dell’astro che ci da la luce e del pianeta – il nostro – che vi ruota attorno. Si, perché per quanto l’uomo moderno abbia dovuto lottare duramente per sostituire il geocentrismo tolemaico con l’eliocentrismo copernicano (complice anche una Chiesa Cattolica che ne aveva fatto una questione di ben altra portata, essendo alla base della stessa filosofia sottesa al suo potere temporale), era noto fin dall’Antichità che la Terra ruota intorno al Sole, e che per farlo completando quella che si chiama “orbita” impiega 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi.
Il mondo antico sugli astri ne sapeva molto più delle epoche successive, almeno fino a quella contemporanea. Sapeva soprattutto che il loro moto e tutto ciò che esso influenzava sul pianeta da noi abitato era il metro fondamentale, l’unità di misura insostituibile per segnare il tempo della vita umana, con l’alternarsi del giorno e della notte, le sue stagioni, le sue annate, le sue nascite, crescite e morti.
L’anno divenne ben presto il tempo amministrativo standard. Il problema era misurarlo con precisione, affinché il calendario astronomico e quello umano restassero sempre al passo. Ci voleva una autorità centrale che imponesse al Mondo Antico una uniformazione delle unità di misura, compresa quella temporale, affinché dovunque i cittadini di quel mondo vivessero la stessa ora, lo stesso giorno, gli stessi mese ed anno.
Questa autorità fu provvidenzialmente fornita, almeno per il mondo conosciuto nel bacino del Mediterraneo e dei tre continenti che vi si affacciavano, dall’Impero Romano. E’ opinione comune degli storici che la grandezza di Roma Antica non sta tanto nell’aver conquistato il mondo (perlomeno ciò che si intendeva per mondo allora) quanto nell’avergli imposto leggi e costumi che in epoca moderna l’uomo non ha potuto fare a meno di riprendere e semmai limitarsi a migliorare nei dettagli, tanto erano efficaci ed accurati nella loro concezione.
Gaio Giulio Cesare
Tra le tante questioni sul tavolino degli organizzatori dell’Impero giaceva proprio quella della misurazione del tempo. Quel 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi non andava bene, non era divisibile per un numero finito di giorni, non permetteva alla macchina imperiale di funzionare con efficienza. Il contadino dell’Hyberia, quello della Britannia, quello della Bitinia avevano da sapere in che data certa iniziare a seminare o a raccogliere (e a pagarci sopra le tasse). Il Senato necessitava di nominare consoli, tribuni e pontefici con esattezza burocratica. Il computo dei giorni basato su 24 ore dall’alba al tramonto alla fine di ogni anno sfasava di circa sei ore. Nell’arco di un secolo, lo sfasamento era di 24 giorni, quasi un mese in più.
Gli anni a Roma si contavano ab Urbe condita, dalla Fondazione. Quando divenne Pontefice Massimo il più grande dei suoi cittadini, Caio Giulio Cesare, ne erano passati circa 710. La vecchia Repubblica che aveva sconfitto Cartagine scricchiolava sotto i colpi delle guerre civili e soprattutto della necessità di amministrare un dominio imperiale in crescita prodigiosa, proprio grazie a Cesare. Il dictator che pose fine al regime repubblicano e favorì l’avvento di quello imperiale assommava nella propria persona diverse cariche. Quella di Pontefice Massimo gli dava il potere di supervisionare tutto ciò che aveva a che fare con la religione. E tutto ciò che ne derivava, dalla coerenza del diritto romano nella sua applicazione fino al funzionamento della macchina amministrativa. E quindi dei suoi calendari, scadenze e ricorrenze.
Mentre gli astronomi studiavano e i burocrati dibattevano, Cesare ebbe l’intuizione geniale (una delle sue tante) di aggiungere al calendario solare vigente, quello elaborato dal greco Sosigene di Alessandria, un giorno di bonus che riavvicinava il tempo terrestre a quello astronomico. Era il 46 a.C., il calendario giuliano che sarebbe durato in vigore più di 1.600 anni, aggiungeva 24 ore sei giorni prima delle Calende di marzo, il giorno che dava inizio al mese che dava inizio all’anno per gli antichi Romani. Questo giorno aggiuntivo era chiamato "bis sexto kalendas Martias", da qui il nome "bisestile".
Con l’avvento dell’Era Cristiana, la suddivisione dell’anno in dodici mesi (con l’aggiunta dei due dedicati a Giulio Cesare ed al suo successore Ottaviano Augusto) e la loro suddivisione in giorni numerati progressivamente, fu stabilito che il giorno extra cadesse il 29 febbraio. L’anno non cominciava più con l’Equinozio di Primavera, ma il Bisesto continuava a cadere a ridosso di esso.
Per quanto geniale, l’idea di Cesare tuttavia aveva una pecca: arrotondava non più per difetto ma per eccesso. Un giorno in più ogni quattro anni infatti era troppo, gli astronomi (che per quanto condizionati dalla dottrina tolemaica quando dovevano fare calcoli seri abbandonavano la Bibbia ed Aristotele e prendevano in mano strumenti più scientifici) avevano computato che dai tempi di Cesare il nostro calendario avesse accumulato un surplus di circa 10 giorni.
Mausoleo di Gregorio XIII a San Pietro in Roma
Si incaricò di porvi rimedio Papa Gregorio XIII. Quando fu eletto Successore di Pietro, il cardinale Ugo Boncompagni di Bologna aveva già alle spalle un successo significativo, la regia dietro le quinte del Concilio di Trento che aveva istituito la cosiddetta Controriforma. Era destinato come Papa a legare il proprio nome ad un evento ancora più importante: l’introduzione del calendario che porta il suo nome. E che grazie alla colonizzazione del mondo – stavolta l’intero orbe terracqueo – da parte delle potenze cattoliche era destinato a diventare il calendario universale.
Gregorio XIII azzerò lo sfasamento dei 10 giorni decretando che il mese di ottobre 1582 ne avesse solo 21, saltando quindi dal giorno 4 al giorno 15. Stabilì inoltre che gli anni bisestili fossero solamente quelli divisibili per quattro, eccetto gli anni secolari che sono bisestili solo se divisibili per 400. Con il che, lo sfasamento astronomico diventava sostanzialmente infinitesimale.
Terminate le Guerre di Religione, anche i paesi protestanti finirono per abbracciare il calendario gregoriano. I paesi di religione ortodossa invece mantengono tutt’oggi quello giuliano, ed è il motivo per cui la Rivoluzione d’Ottobre secondo il nostro calendario ebbe in realtà inizio il 7 novembre. I paesi Islamici mantengono un loro calendario, che prende il via dall’Egira (la fuga di Maometto dalla Mecca che segna l’atto fondativo dell’Islam) e computa da allora annualità di 12 mesi di 30 giorni ciascuno. Fa eccezione la sola Turchia, che grazie alla rivoluzione laica di Kemal Ataturk abbracciò il calendario gregoriano nel 1924.
Per lungo tempo, il 29 febbraio è rimasto per molti popoli il giorno che non esiste, e per affermarsi ha dovuto lottare contro credenze religiose e addirittura superstizioni. “Anno bisesto, anno funesto” è un modo di dire ricorrente a tutt’oggi nelle nostre campagne. Nei paesi anglosassoni e nel Nord Europa addirittura sembra sopravviva una tradizione curiosa, quella (istituita secondo la leggenda da San Patrizio patrono d’Irlanda su richiesta – pare insistente – di Santa Brigida) secondo cui è lecito che in quel giorno siano le donne a chiedere la mano del fidanzato, anziché viceversa.
L’antico calendario nordico sopravvissuto fino al XVIII secolo malgrado la riforma gregoriana non accettava il giorno 29 di febbraio. Essendo quindi un giorno privo di riconoscimento legale, in quella data era consentito contravvenire alle convenzioni, e quindi potevano essere le donne a fare il grande passo solitamente riservato agli uomini. I quali prima di rifiutare dovevano pensarci due volte, essendo in tal caso costretti a pagare una multa. Usanza che sembra essere sopravvissuta in Nord Europa ancora oggi.
Il Leprotto Bisestile festeggia il suo Non-Compleanno con il Cappellaio Matto   
Il 29 febbraio non ci si sposa, essendo ritenuto giorno a tale scopo di cattivo auspicio. Ma si nasce. Secondo il Guinness World Record sarebbero circa 4 milioni le persone nate in questo giorno nel ventesimo secolo. E costrette a festeggiare tre volte su quattro il proprio compleanno il 28 oppure il 1° marzo, per non dover fare come il leprotto bisestile di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, che festeggia il suo Non-Compleanno. C’è addirittura chi ha calcolato la probabilità di nascita nel giorno Bisesto: pare che sia una su 1.461.
Gli anglosassoni chiamano l'anno bisestile "leap year", l’anno del salto. Il motivo non ha niente a che fare con la letteratura fantastica o con le antiche religioni pre-cristiane. Semplicemente, negli anni non bisestili, ogni data cade in genere un giorno dopo rispetto all'anno precedente. Nell'anno bisestile si "salta" di due giorni, perché se ne aggiunge uno che non c'è nei calendari degli anni precedenti. Le date successive al bisesto risultano spostate di due giorni rispetto all'anno prima.

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