lunedì 18 aprile 2016

Il quorum colpisce ancora



Diventerà un tormentone, una di quelle parole strane capaci di segnare un’epoca, come la tracimazione della buonanima Remo Gaspari o la par condicio dell’altrettanto buonanima Oscar Luigi Scalfaro. Questi saranno gli anni del quorum, soprattutto se l’usanza di andare a votare verrà mantenuta dalle prossime riforme costituzionali.
Il referendum più assurdo della storia d’Italia, quello dal quesito più malposto, incomprensibile e strumentalizzato da quando l’istituto fu introdotto nella nostra Costituzione (e dire che non sono mancati i precedenti significativi in tal senso in passato) si è concluso come era prevedibile. Lo sbarramento del 50%+1 si è rivelato fatale per l’esito della consultazione, in un paese dove la gente non va più a votare nemmeno quando le cose sono chiare e la posta in gioco altissima, come può esserlo per le tornate elettorali politiche ed amministrative.
Alla chiusura delle urne (quest’anno si votava in giornata unica) la soglia dei votanti risulta aver di poco superato il 32%. Il quorum, questa sinistra Spada di Damocle posta da una Costituzione forse ormai un tantino invecchiata sulla volontà popolare, è ben lontano dall’essere raggiunto. Per la cronaca, una cronaca triste per chi aveva caricato questa consultazione dei significati giusti e anche di quelli strumentali, di quel 32% un 86% scarso si era espresso per il SI, cioè – vale la pena ricordarlo – per il mancato rinnovo delle concessioni alla loro scadenza.
A giudicare dai commenti, stamattina c’è un solo vincitore, anche se come suo costume è un vincitore auto referenziato. Matteo Renzi sbeffeggia i referendari e inneggia ai posti di lavoro salvati. Neanche una parola sul merito della questione, sia quello tecnico che quello politico.
Negli ultimi giorni prima del voto infatti la consultazione si era caricata di significati anti-renziani, che avevano finito per surclassare i già non chiarissimi significati tecnici, in termini di politica ambientale ed energetica. Alla fine, è stata questione di andare a votare perché – come ha suggerito un noto comico, personaggio appartenente cioè ad una categoria che ultimamente sta prendendo in mano le redini di questo paese – Renzi aveva detto di stare a casa. E quindi il voto per il SI equivaleva in sostanza ad una mozione di sfiducia.
Ambientalisti e fautori di una maggiore autonomia di approvvigionamento energetico del paese dovranno quindi rimandare l’ennesimo scontro nella lunga singolar tenzone che li vede opposti gli uni agli altri dai tempi del referendum sul nucleare. A questo giro non vince e non perde nessuno, né chi vuole il mare più pulito né chi preferisce la benzina meno cara. Del resto, in ballo c’era il 3% del fabbisogno energetico italiano e poche miglia di una costa lambita da acque che comunque negli ultimi vent’anni si sono arricchite di sostanze poco pregiate come l’uranio impoverito nonché di rifiuti tossici e nocivi d’ogni genere, a prescindere dalle famigerate trivelle.
Il problema di questo paese era e resta piuttosto la mancata azione di controllo da parte del governo nazionale nei confronti di coloro che gestiscono le risorse energetiche e le materie ambientali. La palla torna dunque a Renzi, che con la consueta nonchalance è comunque pronto a sparacchiarla via come un terzinaccio d’altri tempi.
Dove non soltanto il premier ma un po’ tutta la classe politica avrà forse qualche difficoltà in più a presentarsi al paese – anche ad un paese che sta scivolando nell’indifferenza elettorale come l’Italia di questo scorcio di ventunesimo secolo – è sulla questione politica generale. Non è tanto la mancata affluenza alle urne che deve far riflettere, in fondo il fenomeno rientra nel trend occidentale e non lo scopriamo oggi.
Malgrado gli accorati appelli ad una coscienza civica nobile ma d’altri tempi, che richiama alla Repubblica nata dalla Resistenza ed all’esercizio di un diritto di voto che ai nostri nonni è costato sangue, ciò che è successo ieri è un fenomeno perfettamente legittimo e comprensibile, anche se finisce per delineare un risultato auspicato dalla parte – possiamo dire – meno nobile della nostra classe politica. L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si allinea alla posizione del governo da lui creato – e da nessuno votato -  nel sostenere l’opportunità di stare a casa, diciamolo pure, non è un bel vedere né un bel sentire.
Come Renzi, il senatore a vita si spertica nell’esaltazione del diritto di astensione. Finché lo fa un Montesquieu, nulla da eccepire. Quando invece la lectio magistralis proviene da un individuo che più schierato e di parte non si può (malgrado l’altissimo incarico a suo tempo rivestito), allora stona assai.
La questione è tuttavia un’altra. E’ la commistione di vecchie e nuove regole che l’attuale classe politica vorrebbe usare per imbrigliare la volontà popolare. La Costituzione si riforma solo in quelle parti che fanno comodo a chi comanda, e si lascia intatta in quelle parti che ormai limitano assurdamente il diritto del popolo di pronunciarsi sulle questioni ritenute importanti.
La necessità di un quorum per ritenere valida la consultazione referendaria, al pari del giudizio di ammissibilità del quesito da parte della Corte Costituzionale, sono precauzioni che il Costituente prese all’epoca in cui la fragile democrazia italiana correva il rischio di pericolose derive. Adesso, diciamocelo, non hanno più senso. Il popolo italiano ha tanti difetti, ma non necessita di continuare a vivere sotto la tutela di un entità superiore. Tanto più coincidente con una magistratura che percepisce come sempre più collusa con il potere politico.
Al referendum, come alle elezioni, si va per votare chi vince e chi perde, senza correttivi. La maggioranza qualificata è un residuo del passato, un’ancora di salvataggio sempre più odiosa per un potere politico che ne ha già fin troppe. Questa parte della Costituzione avrebbe maggior bisogno di essere rivista da quello stesso potere politico, piuttosto che quella concernente il numero dei senatori e la loro provenienza.
Ma nessun sovrano rinuncia volontariamente al potere, se non ha in lontananza (lo diciamo metaforicamente) l’ombra della ghigliottina. In Italia purtroppo non è il popolo ad essere sovrano, ma una classe politica che non ha nessuna intenzione di abdicare fintanto che il circolo vizioso costituito dalle nostre attuali istituzioni glielo consente.
Ci aspettano tempi sempre più duri, e non perché le trivelle continueranno a perforare l’Adriatico ed il Tirreno. A Montecitorio e Palazzo Madama si stanno facendo ben altri danni, ad essere trivellati sempre di più sono i nostri diritti. Ed il prossimo referendum, quello di ottobre, sarà già un’ultima spiaggia.

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