domenica 29 maggio 2016

Un uomo solo al comando

Un uomo solo al comando. Credevamo che fosse ormai sport e letteratura d’altri tempi. Altro ciclismo, altri campioni, ammantati di quell’aura di leggenda che pervadeva qualsiasi impresa ai tempi in cui era la radio il nostro unico legame con il mondo, e che si era dissolta irrimediabilmente, inesorabilmente quando la televisione era giunta a portarci in casa tutto il mondo minuto per minuto, nei più infinitesimali dettagli.
Il suo nome era Fausto Coppi. La leggenda sembrava finita con lui e con Gino Bartali. Per sempre. E invece no. L’eroe è tornato. E’ un uomo sempre più solo, in questo ciclismo – in questo sport – fatto sempre di più di personaggi costruiti in laboratorio, che devono alla chimica quello che non possono più chiedere al cuore ed alle gambe. Ed è di nuovo al comando, sessant’anni dopo. Il suo nome è Vincenzo Nibali.
Chissà quanto tempo dovrà passare prima che qualcuno delle prossime generazioni possa raccontare un’impresa simile a quella che il corridore messinese ha messo a segno ieri, a conclusione di una due giorni di quelle che sconvolgono il mondo. Domenica scorsa, la rottura della bicicletta di Vincenzo aveva fatto il paio – un paio mestissimo – con quella della moto di Valentino. Per gli appassionati italiani che cercano nello sport quegli eroi, quegli esempi che ormai non trovano più da nessun’altra parte, era stato un segno degli Dei. Non c’è strada per il paradiso, non per il tricolore.
Tre o quattro giorni fa, Nibali meditava il ritiro, per non dover sfilare oggi a Torino da sconfitto, lui che secondo pronostico questo Giro se lo doveva mangiare, come lo squalo di cui porta il soprannome. Alla partenza da Pinerolo per la terzultima tappa, due giorni fa, soltanto il suo smisurato orgoglio – pari esclusivamente alla sua classe -  lo tenevano in corsa, almeno teoricamente. Sul colle dell’Agnello, quando il destino ha deciso di risarcirlo tutto insieme, la sua buona scorza siciliana l’ha fatto trovare più che pronto. Risorto in un attimo, dal nulla.
Kruijsvijk va lungo nella neve, e lascia in terra la maglia rosa. La raccoglie Chaves, ma Nibali che alla partenza aveva quasi cinque minuti di distacco si ritrova a soli quaranta secondi dal nuovo leader. Vincenzo si mangia sia la Cima Coppi (la vetta più alta di questo 99° Giro d’Italia) che l’arrivo a Risoul. All’arrivo il siciliano di granito scoppia in un pianto liberatorio. L’aveva fatto anche alla tappa decisiva del Tour 2014. Anche questi sono segni del destino. La crisi è come se non ci fosse mai stata.
Il giorno dopo, alla partenza da Guillestre tutti sanno che è solo questione di sfruttare il momento e l’occasione giusta. La tappa è la penultima, e la più dura del Giro. E’ oggi o mai più. Quarantaquattro secondi sono tutto e sono niente. Sulla salita della Lombarda, l’uomo si stacca e torna solo al comando. Da quel momento pedala sulle ali della leggenda. Nei 4 km che lo separano dal Gp della Montagna la maglia rosa passa sulle sue spalle. Adesso va soltanto difesa.
Nella discesa della Lombarda, Nibali è uno stukas che plana in picchiata. Al Santuario di Sant’Anna ha già un minuto e mezzo di vantaggio. Per il povero Chaves non c’è più niente da fare. Non contro la leggenda che gli pedala davanti. Al traguardo di Sant’Anna di Vinadio e del 99° Giro d’Italia, il distacco definitivo tra primo e secondo è 1’36”.
Su quel traguardo accade l’incredibile. Questo ciclismo malato di doping e business estremo forse ha ancora qualche speranza di tornare quello che più di ogni altro sport ci affascinava da ragazzini. Ai tempi della radio e di una televisione che essendo ancora in bianco e nero ci nascondeva tante brutture. Appena Vincenzo taglia il traguardo, i primi ad abbracciarlo sono i genitori di Chaves, che erano lì per festeggiare il figlio e con il loro gesto invece riscattano non solo questo sport ma tutto lo sport in generale. Chapeau, signori Chaves, e i migliori auguri che la prossima volta tocchi a vostro figlio.
Oggi passerella a Torino. Ieri a Sant’Anna è stata apoteosi, come al fischio finale di una finale mondiale. Oggi sarà la sfilata del pullman che porta in giro la Coppa del Mondo. Ma forse, più che alle metafore calcistiche, conviene ricorrere alla vecchia letteratura radiofonica. L’uomo oggi sfila in gruppo, assieme a compagni ed avversari. Ma rimarrà per sempre da solo, al comando. Con i suoi due Giri vinti, il suo Tour, la sua Vuelta e quel Mondiale perso a Firenze per una scivolata sul bagnato. Con i suoi due giorni, le sue otto ore e poco più di pedalata che hanno sconvolto il ciclismo mondiale.

Marco Pantani, ci sia consentito dirlo, è abbondantemente vendicato.

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