martedì 21 giugno 2016

Cahiers de Paris: l'età delle rivoluzioni, Galles, Brexit, Five Stars, God save the Queen


Gareth Bale

The world turned upside down, cantavano i patrioti di George Washington alle Giubbe Rosse di Cornwallis a Yorktown mentre sfilavano per reimbarcarsi dopo la sconfitta decisiva nella Rivoluzione Americana. Il mondo è sottosopra. Da ieri sera il Principe di Galles non è più Charles Windsor, primogenito dell’attuale sovrana del Regno Unito Elisabetta II. Gareth Bale si prende quel titolo guidando il Galles ad una clamorosa vittoria sulla Russia per 3-0, che vale anche – per il più piccolo e negletto degli stati membri del Kingdom soggetto alla corona di Elisabetta – la qualificazione agli ottavi come prima del girone, davanti agli assai più blasonati e quotati cugini inglesi, fermati sullo 0-0 dalla Slovacchia.
Per il Galles, è una consacrazione attesa più di sessant’anni. L’unico precedente del paese tra le cui montagne impervie i Celti si rifugiarono per sopravvivere all’invasione dei Sassoni dopo la caduta dell’Impero Romano, data infatti al 1958, mondiali di Svezia. Quarti di finale, eliminati dal Brasile del giovanissimo Pelé che avrebbe vinto il titolo.
Stavolta la stella, la perla bianca, sembrano avercela proprio loro, i gallesi. Bale è il cannoniere dell’Europeo con ben tre reti in tre partite. Una media da Miro Klose. Adesso il fuoriclasse del Real aspetta insieme ai suoi compagni la seconda classificata del girone F. Male che vada, il Portogallo del suo compagno di club Cristiano Ronaldo che sembra avere tanta voglia di abdicare al suo Pallone d’Oro. Per i cugini anglosassoni, invece, si profila un durissimo scontro con la prima del girone D, Germania o Polonia. L’ennesima verifica del teorema di Gary Lineker (il calcio è un gioco che si pratica in undici contro undici, ed alla fine vince la Germania) oppure una rivincita della cocente eliminazione dai mondiali del 1974, con la super Polonia di Tomaszewski, Deyna, Lato capace di violare Wembley.
Elisabetta II
E insomma, per vedere bel calcio e grandi figure di calciatori bisogna comunque traversare la Manica, nelle terre soggette alla corona di una Regina che ha appena festeggiato i novant’anni, sessantaquattro dei quali trascorsi a Buckingham Palace come occupante titolare. La figlia del re Giorgio VI, che fece uno dei discorsi più celebri e drammatici della storia non solo del suo paese, è ancora lì. Suo figlio rischia di non vedere mai il trono, o di vederlo per poco, come quello della regina Vittoria, Edoardo VII che ai principi del Novecento sopravvisse di pochissimo alla longeva madre. Il Galles, intanto, appartiene a Bale, e i suoi scudieri sono Taylor e Ramsey, che confezionano il 3-0 ad una Russia che forse ha licenziato Capello troppo presto. E che torna mestamente a casa.
A proposito di Ramsey, e di mondi che si capovolgono, l’impresa del Galles e la qualificazione inglese riportano un po’ di sereno nel Regno Unito il cui cielo è stato oscurato dall’omicidio Cox, in attesa delle tempeste promesse dall’Unione Europea se giovedi prossimo la Brexit verrà votata a maggioranza dai sudditi di Elisabetta. Ed avviene in concomitanza di un altro tsunami, quello realizzato in Italia dal Movimento 5 Stelle. La banda di ragazzacci orchestrata dallo scomparso Gianroberto Casaleggio e da Beppe Grillo sta lasciando il posto ad un partito di giovani aspiranti a governare. Da Virginia Raggi sindaco di Roma a Luigi Di Maio presidente del consiglio, il percorso è tracciato, e sembrava impossibile fino a soltanto due giorni fa.
Giorgio V (a destra) con lo Zar Nicola II
E’ un momento critico già verificatosi nella storia d’Europa. Dicevamo di Ramsey. Questo era il nome di battesimo di quel McDonald che nel gennaio del 1924 ricevette dal nonno di Elisabetta, Giorgio V (il primo a chiamarsi Windsor della casata) l’incarico a formare il primo governo laburista della storia. Era un momento storico se si vuole ancora più delicato del presente. L’Inghilterra era una delle potenze che avevano vinto la Prima Guerra Mondiale, ma il leader della vittoria, il gallese David Lloyd George, l’ultimo liberal britannico, era stato rovesciato dall’avvento del Labour Party e dalla reazione conservatrice, che aveva posto fine alla coalizione di guerra.
Non c’erano in ballo questioni da poco. La Rivoluzione Russa aveva visto affermarsi il socialismo nella versione bolscevica, comunista, e dal 1919 la Terza Internazionale con sede a Mosca propagandava e sosteneva rivoluzioni analoghe in tutto il mondo. Il Labour e le Trade Unions, inizialmente di ispirazione marxista (Marx era morto a Londra in esilio ed è sepolto tutt’ora nel cimitero di Highgate), avevano fatto espressa rinuncia ai principi rivoluzionari, ma l’establishment britannico si fidava ben poco delle sue proposizioni. I conservatori, che vedevano di buon occhio l’affermarsi nel resto d’Europa di regimi totalitari o quantomeno di destra estrema come baluardo al comunismo, avrebbero favorito anche nel loro paese un certo giro di vite per tenere lontane le sinistre dal potere.
Nel 1924 il Labour vinse per la prima volta le elezioni con il 30%, e grazie al sistema maggioritario ebbe la maggioranza per governare. L’ala destra del Parlamento di Westminster, i conservatori sconfitti, esercitarono pressioni sul filo-destrorso Re Giorgio V affinché sciogliesse di nuovo la Camera dei Comuni e rimandasse il paese a votare per la terza volta in un anno. Il re decise di entrare nella grande storia del suo paese riaffermando il principio intangibile della costituzione non scritta della Gran Bretagna con una risposta diventata celebre: hanno avuto la maggioranza popolare, tocca a loro governare, che ne abbiano l’opportunità.
Non abbiamo più la monarchia dal 1946, e non abbiamo più avuto un monarca illuminato come Giorgio Windsor il quinto del suo nome dai tempi forse di Vittorio Emanuele II il re dell’Unità d’Italia. Da dopo il 2011 non possiamo dire di avere più neanche un Presidente della Repubblica garante della Costituzione del 1946, calpestata e negletta quanto nemmeno gli analisti di J.P.Morgan avrebbero osato auspicare.
Ci piace pensare che quando verrà il momento, se verrà, il Giorgio che siederà allora sul trono del Quirinale si comporterà con Luigi Di Maio o chi per lui come quello di Buckingham Palace si comportò con Ramsey McDonald.
Ha avuto la maggioranza popolare, tocca a lui governare, che ne abbia l’opportunità. Senza se e senza ma. E senza Europa che ci chiede chissà cos’altro.

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