venerdì 17 giugno 2016

DIARIO AZZURRO: All'Italia basta Eder, alla Svezia niente biscotti

Nel manuale del gioco del calcio ad uso delle scuole dovrebbero inserire un apposito capitolo denominato tecnica di gestione della seconda partita. Nei tornei all’italiana, il problema è tutto lì. Lo sa bene il professore emerito Arrigo Sacchi, che nel 1996 vinse la prima partita con la Russia a Euro England e poi andò sotto alla seconda con la Rep. Ceca, compromettendo tutto con un turnover di mezza squadra. Lo sa bene anche il professor Prandelli, che era riuscito in Brasile a mettere la testa avanti all’Inghilterra e poi finì a sbatterla sui marcantoni del Costarica. Trapattoni si fece sorprendere dalla Croazia in Corea e dalla Svezia in Portogallo. L’elenco volendo sarebbe ancora più lungo.
La seconda partita è sempre delicata, a prescindere da com’è finita la prima. Antonio Conte sapeva e sa di avere per le mani una squadra di ragazzi in crescita, volenterosi (per forza di cose, altrimenti li sbrana) e dal tasso tecnico tutto sommato inferiore a pochi in questo campionato europeo. Come per tutte le squadre di ragazzi, la risorsa più difficile da gestire è quella psicologica. Per nove undicesimi contro il Belgio gli azzurri hanno mostrato buona condizione fisica (esaltante nel caso di Giaccherini) ed entusiasmo. Il contraccolpo però è sempre in agguato. Conte a fine partita dirà di aver visto i suoi ragazzi ansiosi. E l’ansia ai ragazzi gioca sempre brutti scherzi.
All’Italia capolista, purtroppo, basta anche un punto per avvicinarsi considerevolmente agli ottavi di finale. Il purtroppo è d’obbligo, perché la Nazionale gioca con il freno a mano tirato. Non è il caso di dire che fa calcoli, ma lo spirito non è leggero come nella precedente uscita. A complicare tutto, il destino mette davanti un cliente tra i peggiori di questo Europeo. Una vecchia conoscenza con cui abbiamo più di un conto in sospeso.
Era il 19 giugno 2004 a Oporto, quando gli azzurri scesero in campo contro la Svezia in cui militava già un certo Zlatan Ibrahimovic, campione slavo naturalizzato scandinavo destinato a grandi cose anche nel nostro campionato, dopo aver pareggiato la prima malamente con la Danimarca e perso Totti per squalifica dopo lo sputo di reazione a PoulsenCassano sostituì egregiamente il numero dieci romanista segnando anche il gol del vantaggio, ma a cinque minuti dalla fine un tacco-carambola incredibile proprio di Ibra andò a uccellare Buffon e a ridurre al lumicino i sogni di sopravvivenza azzurri. Cosa successe dopo è storia arcinota. A Svezia e Danimarca bastava un pareggio per 2-2 per far fuori l’Italia e rendere inutile la vittoria nella terza ed ultima partita con la Bulgaria. Si chiamava biscotto in lingua scandinava, e biscotto fu.
Brutti ricordi, pessimi precedenti. Nessuno degli azzurri di oggi era in campo a Oporto, ma i tifosi sugli spalti avevano buona memoria, tanto da esporre uno striscione significativo: 2-2? NO GRAZIE. C’era un conto in sospeso mica da poco da saldare. E forse non era la giornata adatta per farlo. Alla Svezia del prode Ibra, dopo il risicato pareggio con l’Irlanda, serviva la vittoria a tutti i costi per non trovarsi come l’Italia dodici anni fa.
Antonio Conte non è uomo da far calcoli, l’abbiamo già scritto. Né da accettare l’atteggiamento dei suoi, così ansioso e preoccupato da non far indovinare loro due passaggi di fila in tutto il primo tempo. Non ha vendette sportive da consumare, ma solo da mandare in archivio questo Europeo con il miglior risultato possibile, per non restare nell’albo d’oro della Nazionale da sconfitto, come purtroppo tanti suoi anche illustri predecessori.
Eppure, nel primo tempo deve assistere ad una partita da spareggio salvezza di Lega Pro. I ragazzi non ne beccano una, in campo il timore è una coltre spessa che si taglia con il coltello. Dall’altra parte c’è una Svezia di marcantoni che sembra il Costarica, ma che tecnicamente è Ibrahimovic e poco altro. Non riesce mai ad impensierirci, nemmeno in via ipotetica, ma nessuno con la maglia azzurra se ne rende conto, e piuttosto preferisce non rischiare.
Rispetto al Belgio, Conte inserisce il folletto Florenzi al posto dello spento Darmian. L’Alessandro romanista cerca di ripagarlo facendo quello che fa nella Roma. Peccato che la sua fascia sia quell’altra e non la sinistra dove deve sempre aggiustarsi il pallone cambiando piede, al termine delle sue discese. Sull’altra c’è il laziale Candreva, che deve aver vissuto una stagione sfibrante, poiché si è presentato a questo Europeo in condizione assolutamente irriconoscibile e inaccettable. Ma l’Antonio laziale ha un peso tale nell’economia del gioco italiano che gliene basta una di occasioni per far male. Col Belgio e anche con la Svezia colpisce alla fine di una partita inguardabile, mettendoci il suggello: assist per Pellé tre giorni fa, sassata che costringe il portiere svedese Isaksson a una prodezza per sventare il raddoppio azzurro quest’oggi.
Per questo motivo Conte lo tiene in campo fino alla fine, preferendo alternare a un Pellé non più colpevole di altri uno Zaza che scalpita in panchina e che però una volta in campo riesce a combinare poco più del collega. In mezzo alla difesa della squadra più alta e robusta del torneo, lo juventino ha la stessa vita dura del funambolo Eder.
Dall’altra parte un solo brivido, un liscio sottoporta di Ibrahimovic che poi si scopre essere in fuorigioco. La Svezia non fa nulla, limitandosi a pressare gli azzurri a centrocampo con la superiore prestanza fisica, più che tecnica. Sembra anche oggi che l’Italia giochi la copia (stavolta brutta) della partita giocata dalla Germania la sera prima, in fondo con il passare del tempo ritrovarsi a quattro punti e lasciare stavolta gli svedesi a zuppare biscotti nel lingonberry dell’IKEA non è così male.
La partita è bloccata e non la può sbloccare il subentrante Thiago Motta, messo più che altro per evitare ad un De Rossi in debito d’ossigeno la seconda ammonizione. Né Sturaro, che rileva uno stremato Florenzi. Perché succeda qualcosa che cambi il risultato ci vuole una prodezza individuale. Non può farla Ibrahimovic, sempre più arretrato in campo a sfuggire dalla maglia di ferro del trio BonucciBarzagliChiellini. Non può farla Parolo, che fa già tanto a inserirsi alla Mustafi e mandare sulla traversa un cross al millimetro di Euro-Giaccherini.
No, ci vuole qualcos’altro. Qualcun altro, magari uno di quei personaggi da epica del calcio che costellavano le partite d’altri tempi. Quando sfruttando una sponda di Zaza parte Eder a saltare svedesi come birilli al limite della loro area, la sensazione è che qualcosa stia per succedere. L’attaccante interista ha avuto una annata tra le più complicate possibili. E’ stata una scommessa quella di Conte di volerlo portare qui in terra di Francia. Una di quelle che a vincerle cambiano il destino di una squadra, la classica fortuna che aiuta gli audaci.
Quando parte il tiro ad effetto di Eder, la sensazione è che quel gol l’abbiamo già visto. Era un altro 19 giugno, ma del 1990. Roberto Baggio era appena entrato nella Nazionale delle notti magiche, che stava soffrendo contro la Cecoslovacchia. Era la terza partita, che serviva per vincere il girone e restare a giocare a Roma. Roberto partì da più indietro. Ma alla fine lo spettacolo fu lo stesso. Ed anche la gioia.
Vince alla fine l’Italia una partita che prima della prodezza di Eder non aveva fatto nulla per vincere, al pari della Svezia. Quando si vincono partite così, è segno che il vento non soffia contro e che la rotta intrapresa può portare lontano. Ma Conte è il primo a restare dentro la misura nelle dichiarazioni del dopo-partita. Bravi i ragazzi a superare la propria ansia. Avanti così. Dimenticate tutte le sfuriate di novanta minuti di panchina. E soprattutto, gioia scatenata al gol di Eder senza stavolta rimetterci il naso, ed è un buon segno anche questo.

Avanti così. L’Italia è negli ottavi di Euro2016 con la stessa lode o infamia di una Francia o di una Germania. Stasera gioca la Spagna, da quel girone dovrebbe uscire la nostra prossima avversaria, dopo la formalità Irlanda. Alla Svezia il compito di fare un miracolo contro il Belgio. O di restare a guardare il resto di questo torneo alla televisione, zuppando lei questa volta i biscotti nel lingonberry. Che, a pensarci bene, non dovrebbe essere un gran che, come sapore.

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