mercoledì 22 giugno 2016

DIARIO AZZURRO: Arriba España



Alle 21,00 scende in campo l’Italia contro l’Irlanda, sapendo già che alla partita successiva l’aspetta di nuovo l’appuntamento con la storia. Sarà Spagna – Italia, el clàsico del calcio europeo e mondiale. La Furia Roja si fa rimontare dalla Croazia e pertanto concederà agli azzurri la rivincita di Kiev con largo anticipo su pronostici, calendari e aspettative delle rispettive tifoserie.
Si apre il dibattito, venato di suggestioni shakespeariane: se sia meglio l’outsider Croazia, contro la quale l’Italia non ha mai avuto vita facile né adesso né quando si chiamava Jugoslavia, oppure il vecchio leone ferito – ma pur sempre leone e pur sempre campione in carica – che non è più forse la macchina da gioco di Vienna, Johannesburg e Kiev ma che ha sempre dentro di sé, pronto a riaffiorare, l’orgoglio dei campioni blasonati al servizio di una tecnica che ancora almeno sul continente non ha eguali.
Decide, come sempre, il Fato. Sergio Ramos sbaglia un rigore che è un segno degli Dei, forse diventati avversi agli eroi di Spagna. Nikola Kalinic risorge da un campionato con la Fiorentina che per almeno tutto il girone di ritorno ha quasi configurato un assenteismo da furbetti del cartellino e porta la Croazia al primo posto del girone e la Fiorentina – forse – ad una bella plusvalenza.
Arriba España, dunque. E’ tempo di hombres, e non di piagnistei. Consapevoli che qualunque sia il valore dell’Italia, è più facile che venga fuori contro squadroni come la Furia Roja piuttosto che con squadre che non eccitano la fantasia (almeno non la nostra) come i nostri dirimpettai adriatici, che invece quando vedono tricolore vedono rosso. Se Plaza de toros dev’essere, meglio finire incornati dai campeònes. Sarà una fine gloriosa. Se non sarà una fine, invece, sarà la vittoria più prestigiosa di tutte.
Complimenti alla Francia, alla quale il presidente dell’UEFA uscente (per motivi giudiziari) Michel Platini ha fatto l’ultimo regalo di un sorteggio come meglio non si poteva. Spagna, Germania, Portogallo, Croazia, Italia, sono tutte dall’altra parte del tabellone. Dalla parte francese, solo l’Inghilterra e il Galles. Noi a giocare il Superbowl, loro al Torneo Sei Nazioni. Facile arrivare in finale così, Gran Bretagna permettendo.
Ma torniamo a noi, torniamo alla storia del calcio, che si arricchirà di un nuovo capitolo. Le due principali penisole del Mediterraneo si contendono da sempre la supremazia continentale, a livello di nazionali e di club. Un derby dalla storia lunga come quella del calcio stesso. A partire da quel 1934 in cui Italia e Spagna si scontrarono ai mondiali italiani, e fu uno scontro nel senso letterale della parola. Volarono botte da orbi, la partita si concluse in parità. Sul gol del pareggio azzurro ci fu l’ombra di un fallo non fischiato sul portiere, il leggendario Ricardo Zamora.
Il giorno dopo, la partita venne ripetuta secondo il regolamento di allora. Gli spagnoli dovettero operare diverse sostituzioni, lamentando ben sei contusi. Ma soprattutto rinunciarono (per motivi non meglio precisati, ma si parlò di un intervento di Mussolini presso il governo spagnolo) a saracinesca Zamora. Con un portiere normale come Nogues tra i pali, finirono per beccare un gol da Meazza e non furono più capaci di rifarlo. Ancora botte da orbi, contestazioni sull’arbitrato dello svizzero Mercet. L’Italia andò a vincere quel mondiale battendo le pur forti Austria in semifinale e Cecoslovacchia in finale. Ma l’avversario più duro, a prescindere dai retroscena, era stato senza dubbio la Spagna.
Seguì il lungo e sanguinoso intermezzo della Guerra Civile e della Guerra Mondiale. Le nazioni preferirono incontrarsi sul campo di battaglia anziché su quello di calcio. L’Italia fece in tempo a rivincere un mondiale nel 1938, stavolta senza discussioni. La Spagna era alle prese con la ribellione di Franco, e non poté dire la sua. Negli anni cinquanta, l’Italia sconfitta nella guerra fascista e la Spagna emarginata a causa della permanenza del governo falangista furono comunque riammesse nella comunità internazionale a causa delle necessità imposte dalla Guerra Fredda.
Andres Iniesta e Andrea Pirlo
La supremazia calcistica continentale divenne ben presto un affare tra noi e loro. Più a livello di club che di nazionali, al principio. Mentre si costruiva la leggenda del Real Madrid che vinse le prime cinque edizioni della Coppa dei Campioni battendo tra l’altro Fiorentina e Milan, da noi rispondevano rossoneri e nerazzurri dividendosi equamente le vittorie. Negli anni sessanta, prima le Furie Rosse poi gli azzurri diventarono Campioni d’Europa. Poi il declino in parallelo degli anni settanta.
Nel 1980, la Spagna frenò la corsa dell’Italia all’Europeo casalingo che finì per vedere trionfatrice la Germania. La Spagna dovette assistere poi alla vittoria italiana in casa propria al Mondiale del 1982. Gli spagnoli andarono in finale nel’84 all’Europeo francese (vinto dai padroni di casa) e ai Mondiali 86 furono fermati ai quarti dal Belgio. Gli azzurri erano usciti al turno precedente contro Platini & c.
Nel 1988, lo scontro diretto all’Europeo tedesco finì 1-0 per gli italiani. Dopo il deludente - per entrambe - Italia 90, fuori tutte e due dall’Europeo 92. La rivincita spagnola arrivò infine nei quarti del torneo olimpico di Barcellona: 1-0 per le Furie Rosse che finirono a vincere poi la medaglia d’oro. Due anni dopo, a USA 94, ancora quarti di finale, ancora Italia – Spagna. Avanti gli azzurri con Dino Baggio, pareggio della Roja con Caminero. Giallo per una gomitata di Mauro Tassotti a Luis Enrique non vista dall’arbitro. Al novantesimo due squadre stanche sembrano destinate ai rigori, ma l’Italia quel giorno aveva Roberto Baggio. Lanciato da Signori, arrivò davanti a Zubizarreta dopo essersi fatto mezzo campo, e non perdonò.
Mentre a livello di club il Barcellona da una parte e la Juventus dall’altra alimentavano la rivalità continentale a suon di vittorie, le due nazionali conobbero un periodo interlocutorio a cavallo della fine del secolo e l’inizio del nuovo. Male l’Italia, incapace di vincere malgrado l’elevato tasso tecnico dei suoi giocatori. Male la Spagna, che con gente del calibro di Raul, De la Pena e Morientes collezionò un paio di eliminazioni al primo turno. Nel 2002, entrambe vittime della Corea e degli arbitri: negli ottavi gli azzurri, nei quarti la Roja. Male entrambe in Portogallo nel 2004.
Poi gli anni d’oro. Nel 2006 toccò all’Italia vincere un mondiale di cui nessuno al mondo, italiani compresi, la riteneva capace. Nel 2008 partì il ciclo iberico, con Aragones prima e Del Bosque poi. Due Europei e un Mondiale. Mentre Milan, Inter, Real e Barcellona impinguavano il bottino a livello di club.
Negli ultimi anni, due vittorie spagnole: ai rigori nel 2008 dopo una sostanziale parità, 4-0 nel 2012 e non ci fu partita: azzurri al loro minimo storico, Furia Roja al suo massimo.
L'abbraccio finale a Kiev tra Iker Casillas e Gigi Buffon
Tra pochi giorni, tocca di nuovo a loro. Italia e Spagna giocano per la sopravvivenza in terra di Francia e per il loro onore passato, presente e futuro. Loro non volevano noi, noi non volevamo loro, non così presto almeno. Ma siamo come gli spadaccini dei Duellanti di Ridley Scott, destinati ad incontrarci all’infinito in una tenzone senza fine.
Di tutti gli antagonisti, la Spagna per noi italiani è comunque quella più suggestiva. Siamo realmente cugini, molto più che con i francesi, coi quali c’è rispetto ma mai affetto. Con gli spagnoli è diverso, da sempre. Sono stati tra l’altro gli unici dominatori nella nostra penisola che non sono stati percepiti come stranieri. Ci sentiamo affini, vicini. Magari pensiamo anche – a volte – che loro sono come vorremmo essere noi: in una parola, hombres. Cosa pensano loro di noi è altrettanto complesso. Ma è difficile dimenticare Iker Casillas che a Kiev, con gli azzurri già sotto di due gol e la squadra decimata da infortuni invitava i suoi compagni a non infierire: compañeros, respeto: es la Italia!
Viggo Mortensen nei panni del capitan Diego Alatriste
Siamo come – sempre per restare in tema – come quel pugno di soldati che alla fine del Destino di un Guerriero (trasposizione cinematografica delle avventure del capitan Alatriste di Arturo Perez Reverte) si vede offrire da un emissario del Principe di Condé, comandante delle soverchianti forze francesi, una resa onorevole prima della decisiva battaglia di Rocroi. La risposta del capitan è semplice, emblematica e leggendaria. “Ringrazi el señor Principe. Siamo soldati spagnoli. Non possiamo accettare”.


Non possiamo arrenderci, nessuna delle due. Siamo la storia del calcio. Ne andrà avanti una sola, e dopo ci abbracceremo, come sempre. Fino al momento in cui toccherà di nuovo a noi, incrociare le spade. Vencido y vencidor, siempre con honor.

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