sabato 11 giugno 2016

La battaglia di Hitler e quella contro il cervello

Esce insieme al Giornale di Alessandro Sallusti il primo volume della Storia del Terzo Reich di William Shirer. Un’opera fondamentale per lo studio del Nazismo. Per chi non lo sapesse, il giornalista americano, corrispondente del Chicago Tribune e del network radiofonico Columbia Broadcasting System (C.B.S.), fu l’ultimo corrispondente occidentale a lasciare Berlino nel 1940 dopo aver raccontato la crisi dell’Europa sotto il tallone di ferro nazista, dall’anschluss austriaco fino alla caduta della Francia, al principio della seconda guerra mondiale. Il suo Diario di Berlino è a tutt’oggi l’opera imprescindibile per lo studio degli anni terribili della svastica sull’Europa.
Fin qui, tutto bene. Ma il genio giornalistico di Alessandro Sallusti, degno erede in questo senso di quel Indro Montanelli storico fondatore del Giornale che oggi lui dirige, non si ferma qui, ed alla pubblicazione dei diari di Shirer associa un’altra operazione clamorosa, anche se altrettanto imprescindibile per chi si accinge a coltivare studi storici. Con il Giornale di oggi in edicola c’è nientemeno che Mein KampfLa mia battaglia, scritto nel 1925 da un ex caporale dell’esercito Austro-Ungarico poi trasferitosi in Germania dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e determinato a fare del nuovo paese adottivo lo strumento della rivincita. Adolf Hitler, fondatore del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, il Partito Nazista tedesco che otto anni dopo avrebbe conquistato la Germania e due anni dopo ancora sarebbe andato vicino a conquistare il mondo.
Apriti cielo. Ha un bel mettere le mani avanti lo stesso Sallusti: «La sola notizia di questa pubblicazione ha già suscitato polemiche, la maggior parte delle quali legittime e comprensibili, e le preoccupazioni degli amici della comunità ebraica italiana, che ci ha sempre visto e sempre ci vedrà al suo fianco, senza se e senza ma, meritano tutto il nostro rispetto. Escludo però che ad alcuno possa anche solo sfiorare l’idea che si tratti di un’operazione apologetica o anche solo furba. Non si gioca su una simile tragedia. Semmai il contrario. Perché, con certi venticelli che soffiano qua e là per l’Europa e in Medioriente, serve capire dove si può annidare il male e non ripetere un errore fatale».
L’ambasciata di Israele a Roma si era già fatta sentire, e non le aveva mandate a dire, definendo l’operazione del Giornale «un fatto squallido, lontano anni luce da qualsiasi logica di studio e approfondimento della Shoah (…) è indecente, e bisogna soprattutto che a dirlo sia chi è chiamato a vigilare e a intervenire sul comportamento deontologico dei giornalisti». Dopo l’invocazione neanche tanto velata all’intervento di una censura che cozza evidentemente con l’intento antinazista dichiarato della nota dell’ambasciata, arriva il Centro Wiesenthal di Gerusalemme a rincarare la dose: «L’operazione di smerciare in edicola e di disseminare nelle case di milioni di italiani disinformati, impreparati e inconsapevoli migliaia di copie del Mein Kampf non è solo una azione becera e volgare. Rappresenta anche un gesto cinico e irresponsabile».
Siccome viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e di manifestazioni di fenomeni prodigiosi (in altre epoche nemmeno concepibili), le autorità israeliane si ritrovano come improbabile ma convinta alleata quella sinistra ufficiale italiana da cui sono sempre state viste come il fumo negli occhi. Da Erri De Luca, «atti osceni in luogo pubblico», a Stefano Fassina, «promuovere la lettura del Mein Kampf è grave», a Paolo Ferrero (PRC), «scelta vergognosa perché rappresenta il negazionismo di chi nega appunto l’unicità del male assoluto del nazismo e dell’Olocausto, le parole del direttore Sallusti, che dice che pubblicherebbe anche il Libretto rosso di Mao, non fanno che dimostrare ed aggravare questa tesi», ai partigiani dell’Anpi, «sbigottiti ed indignati».
Il campionario delle critiche, o per meglio dire delle contumelie, o come verrebbe voglia di definirle semplicemente delle sciocchezze è – come si vede – variegato e variopinto. Con il dovuto rispetto per i superstiti dell’Anpi, gli unici forse a cui il coraggio dimostrato a suo tempo consente adesso di parlare con qualche cognizione di causa (malgrado il vizio inquinante dell’egemonia culturale e politica che tra di essi ha sempre avuto l’ideologia comunista e post-comunista) forse converrebbe stendere un velo pietoso sulle argomentazioni di questo fronte popolare di ultima generazione che va dai seguaci ortodossi della Torah (che si sentono tra l’altro culturalmente superiori ai nostri connazionali disinformatiimpreparati e inconsapevoli, e non ne fanno mistero) ai post comunisti. E su tutto lo sciocchezzario che stamani affolla i social network ad opera di blogger nel frattempo assurti ad opinion leaders di un cyberpopolo che si sente depositario di verità a maneggiare le quali nessuno l’ha –in questo caso veramente - preparato, fin dai tempi della scuola elementare.
Ci limitiamo a ricordare che chi ha preteso nella storia di orientare le coscienze verso gli opportuni strumenti di studio e le opportune sedi, ha sempre fatto dei gran disastri. Proprio come l’autore del libro che stamattina il Giornale ha reso disponibile. Dopo settant’anni di cancellazione, ufficialmente dovuti ai diritti d’autore che il Land bavarese avrebbe ereditato per legge dallo scomparso Adolf Hitler, e che sono appunto scaduti il 31.12.2015. Più facilmente dovuti all’atteggiamento di ipocrita rimozione che non solo in Germania le intellighenzie dominanti hanno sempre avuto nel dopoguerra.
Alla Comunità Ebraica italiana e mondiale bisognerebbe che qualcuno ricordasse che gli italiani degli anni 40 del secolo scorso, forse ancor più per forza di cose disinformatiimpreparati e inconsapevoli di quegli attuali, avevano istintivamente scelto da che parte stare mettendo in salvo un numero incalcolabile di membri del popolo ebraico perseguitato ferocemente dai Nazisti. Che si fidassero quindi un po’ di più di cosa circola, di solito, nelle case degli italiani.
Bisognerebbe inoltre che qualcuno spiegasse sempre alla stessa Comunità che se passa la logica delle opportune sedi, c’è il rischio che qualcuno – di loro, in primis - prima o dopo torni a farsi male. Se avesse vinto l’autore del Mein Kampf, in questi ultimi decenni le opportune sedi sarebbero state posti tipo Wansee, dove il mondo si stava organizzando per far sparire completamente qualsiasi traccia di ebraismo. Quanto agli opportuni strumenti, sono ancora ben visibili in località tipo Auschwitz –Birkenau.
Non è passato molto tempo da quando qui in Italia la Chiesa Cattolica teneva un Indice dei libri (e delle opere d’arte in generale, film compresi) che secondo la dottrina ortodossa non era permesso leggere. E siccome all’epoca lo Stato italiano era poco più del braccio secolare di quella Chiesa, quei libri erano di fatto introvabili, o non leggibili in pubblico. A quei tempi, perfino un libro come Il Conte di Montecristo era bandito, in quanto apologetico del sentimento di vendetta (!).
Le Chiese e le religioni organizzate, così come certi grandi movimenti politici finiscono sempre per trovare il loro limite, se non il lago putrido in cui annegare, nel ridicolo di cui sono intrise molte delle loro proposizioni dogmatiche. Ma per arrivare a quel mondo di cui cantava John Lennon servono tempi lunghi, e nel frattempo chissà quante altre vittime dell’ortodossia. Nel frattempo, non c’è modo migliore per spingere un giovane che si affaccia adesso al mondo degli adulti consapevoliinformati e preparati a leggere avidamente un testo abominevole come il Mein Kampf che proibirglielo. Il modo migliore perché arrivi addirittura a piacergli, e a desiderare di aggiungervi nuovi, efferati, capitoli.

Dio ci conservi in salute Alessandro Sallusti.

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