lunedì 22 agosto 2016

DIARIO OLIMPICO: Addio (senza rimpianti) al mondo nuovo



Il primo ad usare il termine Mondo Nuovo fu Amerigo Vespucci, piloto mayor de Castilla, che il 24 giugno 1497 pose piede per primo sulla terraferma del continente che avrebbe portato per sempre il suo nome. A Guajira, nell’attuale Colombia (ironia della sorte, intitolata nei secoli a venire a colui che era stato il Primo dei Primi ma non l’avrebbe mai saputo, o compreso, e sulle cui orme però lo stesso Vespucci si era mosso), l’Europa calpestò per la prima volta il suolo americano.
Amerigo Vespucci a quel punto era un suddito di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, i soberanos spagnoli che nel giro di pochi anni avevano cacciato i Mori e fondato un Impero su cui il sole non avrebbe tramontato. Ma era rimasto anche legato alla patria d’origine, la Repubblica Fiorentina, e nelle sue lettere a Lorenzo il Popolano, cugino dell’omonimo detto il Magnifico, avrebbe raccontato i suoi viaggi, le sue intuizioni e le sue scoperte, permettendo ai maestri cartografi di individuarlo come il vero scopritore della quarta parte del mondo. Lui, non Colombo, che era partito per primo ma non aveva saputo cosa aveva raggiunto. All’Ammiraglio del Mare Oceano restò intitolata soltanto la prima terraferma toccata dalle navi con le vele crociate. Il continente invece si sarebbe chiamato America.
Tra le terre del Mundo Nuevo, il Brasile fu scoperto per terzo. Colombo stesso arrivò al delta dell’Orinoco (da lui ribattezzato la piccola Venezia, o Venezuela) nel 1498. Pedro Alvares Cabral sbarcò per i portoghesi a Porto Seguro (nell’odierno stato di Bahia) il 25 aprile del 1500. A quel punto, il papa Borja Alessandro VI aveva già tracciato sul mappamondo la famosa linea al largo delle isole del Capo Verde, stabilendo che tutto ciò che era ad ovest avrebbe parlato spagnolo. Tutto ciò che era ad est, portoghese.
E’ um mundo novo con tutti i difetti e pochi pregi del vecchio che lo colonizzò, il Brasile che stanotte ha salutato  e spento la fiamma olimpica. Forse con qualche saudade, nostalgia. Chissà quanto corrisposta dal resto del mondo che se ne torna a casa. Lasciandosi dietro un paese in festa per la vingança, la vendetta consumata nel torneo di calcio ai danni della Germania che due anni fa mise a nudo il bluff dell’ex paradiso del calcio, compiendo il secondo maracanazo della storia verdeoro. Un paese che celebra tra le sue sette medaglie d’oro anche quella sfilata – con le buone o con le cattive – dal collo dell’Italia. Italvolley, come l’Olanda nel calcio, continua a fare i conti con quello zero nella casella delle vittorie del titolo più ambito che cozza terribilmente e dolorosamente con quanto la storia di questo sport ed i meriti acquisiti sul campo altrimenti suggerirebbero.
Lo sconforto delle "Farfalle" italiane dopo il verdetto dei giudici
L’ultima giornata dei trentunesimi giochi olimpici rende meno amaro, paradossalmente, l’addio a Rio de Janeiro ed al suo Pan di Zucchero. Alla fine stucchevole, poco gradevole al di là della facile retorica. L’Italia cade vittima di ben tre imboscate, vedendosi derubricare le ultime tre medaglie. La ginnastica ritmica scende dal podio per questione di centesimi di punto, quanti ne servono all’ineffabile giuria (ma tutte le giurie olimpiche da sempre sono ineffabili) per tirarci su la Bulgaria, il cui peso politico in questa disciplina è evidentemente superiore a quello delle medaglie di bronzo di Londra 2012.
Chissà che peso politico deve avere l’Azerbaigian, perché nella lotta libera maschile a Frank Chamizo – cubano naturalizzato italiano – viene tolto ben più di qualche centesimo di punto per dirottarlo dalla finale per l’oro a quella per il bronzo a vantaggio dell’azero Togrul Asgarov.
Le lacrime di Ivan Zaytsev
Last but not least, il peso politico del Brasile – più ancora di quello pallavolistico – è universalmente noto. Nella bolgia del Maracanazinho un’Italia che fa fatica a trovare il meglio di se stessa lottando contro tutto e contro tutti viene scippata scientificamente di tre punti, in altrettanti momenti decisivi dei tre set con i quali cede ai padroni di casa. Tre punti che l’avrebbero mandata avanti nella stretta finale di ciascuno di quei set. Una volta rovesciati nel giudizio, il Brasile ai vantaggi ha la meglio. Restano negli occhi le bruttissime immagini di Wallace che per poco non amputa la mano al nostro Juantorena, con gli arbitri che danno invasione all’azzurro. E il pessimo gesto irrisorio del prode Felipao, che alla fine schernisce gli azzurri: chiedete, chiedete pure il challenge, noi intanto cominciamo a far festa.
Le lacrime di Frank Chamizo
Lasciamo il Brasile senza nostalgia, con i suoi idoli di plastica ed i suoi successi effimeri e gonfiati da venti che soffiano più potenti che sulla spiaggia di Copacabana. Alla fine, malgrado sviste e furtarelli, il nostro medagliere è egregio: 28 medaglie, 8 ori, 10 argenti, 8 bronzi. Come a Londra 2012 e appena meglio di Pechino 2008. Il nono posto è la nostra dimensione attuale, a prescindere dalle considerazioni di cui sopra e dalle altre fatte in questi quindici giorni a proposito della nostra impreparazione istituzionale allo sport che conta. Con un po’ più di fortuna o di giustizia eravamo davanti alla Corea del Sud, che ha meno medaglie complessive ma un oro in più. Raggiungere la Francia al settimo posto sarebbe stato possibile, ma forse non equo. Tra le 42 medaglie loro (di cui 10 ori) e le 28 nostre c’è tutta la differenza tra una società ed un paese che investono istituzionalmente nella salute ed il benessere dei propri cittadini ed una società ed un paese fermi anche in questo campo al volontariato sociale ed al provvidenziale stellone.
Vincono gli U.S.A., che almeno nello sport si avviano a celebrare un nuovo secolo americano. Sorprendente seconda la Gran Bretagna, la Britannia Felix che non possiamo che invidiare. E’ tutto ciò che vorremmo fosse il nostro paese, e si allontana sempre di più, in fuga. Non è la Brexit, non è l’onda lunga di Londra 2012. La Gran Bretagna si tiene dietro anche la Cina emergente, e per lei vale – amplificato – il discorso fatto sopra per la Francia. Ottima quinta la Germania, non male il quarto posto per una Russia che non doveva neanche esserci, a sentire il Comitato Olimpico Internazionale.
Medagliere finale di Rio 2016
Le nazioni, a prescindere da vittorie e sconfitte, da medaglie d’oro e da medaglie di legno meritate o immeritate, lasciano il mondo nuovo senza troppi rimpianti. E’ un mondo che rischia di passare da una promettente gioventù ad una precoce vecchiaia, se non saprà che fare di se stesso, delle sue potenzialità espresse solo su campi di calcio ed altri courts sportivi. Se non perderà il gusto di vittorie effimere e a volte anche taroccate e non guadagnerà quello delle conquiste di civiltà che ancora mancano un po’ a tutto il Sudamerica. Buona parte di quella quarta parte del mondo che Amerigo Vespucci aveva scritto orgogliosamente di aver scoperto a Lorenzo il Popolano.
Si spengono le note della cerimonia di chiusura più casereccia da tanto tempo a questa parte, per quanto promettente e suggestiva era stata quella di apertura. Una volta Juan Antonio Samaranch, presidente del C.I.O. fino al 2001 e recentemente scomparso, definì le Olimpiadi di Atlanta le peggiori della storia dal punto di vista organizzativo e dello spirito olimpico. I record, anche quelli negativi, sono fatti per essere battuti, e forse Rio de Janeiro c’è riuscita. Questo rimane al Brasile, e rimane al mondo che lo saluta. Da oggi si smontano gli impianti, e si impilano i conti da pagare. Caro Felipao, continua pure a festeggiare. La vita prima o poi presenta a tutti l’esito del challenge..
Adeus mundo novo. Konnichiwa Tokyo-ga.

Nessun commento:

Posta un commento