venerdì 9 settembre 2016

Arrivederci professore

La sua ultima apparizione pubblica era stata un tweet del 30 luglio. “Debbo chiedere una pausa agli amici e ai follower. E' necessario un periodo di riposo. EDN”.
Con la sobrietà e l’essenzialità che hanno contraddistinto tutta la sua vita ed il suo insegnamento, Ennio Di Nolfo se n’è andato pochi giorni dopo, il 7 settembre a Firenze, città che aveva eletto a sua residenza dopo gli anni della Cesare Alfieri. Alla fine ha prevalso la malattia con cui combatteva da tempo. Ma non ha vinto. Il prof. Di Nolfo si è accomiatato dai suoi ex allievi, dai suoi estimatori e corrispondenti con un’ultima lectio magistralis. Questo era il suo stile, così ce lo ricorderemo sempre tutti. Insieme ad ogni parola delle sue tante lezioni, per chi ha avuto la fortuna di seguirle.

Arrivai alla Cesare Alfieri nell’autunno del 1980. La Facoltà di Scienze Politiche seconda solo per antichità e prestigio a quella di Parigi stava vivendo – e facendo vivere alla città che l’ospitava – una specie di secondo Rinascimento.
Gli anni di piombo volgevano al termine. Tra i ragazzi della mia generazione c’era voglia di respirare finalmente un’aria nuova. Di trovare dei “buoni maestri” che sostituissero quelli “cattivi” che avevano avvelenato il decennio precedente e la nostra vita. Chi arrivava in Via Laura in quei giorni con l’iscrizione alla Cesare Alfieri lo faceva con la trepidazione di essere sul punto di assistere finalmente alle lezioni di docenti i cui nomi circolavano già allora su un alone di leggenda.
Qui aveva insegnato Giovanni Spadolini, prima di essere assorbito dal “mandato parlamentare”. Qui insegnavano Giorgio SpiniSilvano TosiAntonio Cassese, per dirne solo alcuni, il meglio che “l’offerta formativa universitaria” (come si usa dire oggi con una terminologia che i nostri docenti di allora avrebbero sicuramente aborrito) proponesse a delle giovani menti affamate com’eravamo, in cerca di nutrimento morale e culturale.
Qui era appena venuto ad insegnare lui, dopo gli anni della LUISS a Roma, della cui facoltà di Scienze Politiche era stato preside a neanche cinquant’anni.
Ennio Di Nolfo ci apparve a tutti in principio come una montagna difficile da scalare. Alle sue lezioni c’era il tutto esaurito, non volava una mosca e non si perdeva una parola. Le porte della storia del Novecento si aprirono per ognuno di noi su orizzonti che non avevamo neanche sospettato esistessero. La storia dei rapporti tra gli Stati, nella sua narrazione e nella sua interpretazione, ci portarono a scoprire che la vita è una cosa più complicata di quello che appare, ma nello stesso tempo anche più semplice per chi la vuole analizzare con gli strumenti giusti.
Siamo tutti interdipendenti l’uno dall’altro. Il più forte come il più debole. Questa era la sua lezione principale. Da qui derivava tutto il resto. Ennio Di Nolfo ti faceva prendere a cuore la Storia delle Relazioni Internazionali. Entrando nella sua aula non ci si sedeva per assistere ad una lezione, ma per vedere scorrere le immagini di un film che non ci aveva ancora proiettato nessuno, a noi che provenivamo da una scuola superiore dove lo studio storiografico arrivava a malapena ad un Risorgimento trattato di maniera.
Poi c’era l’esame. Personalmente, ci misi tre mesi a prepararlo. Sospesa qualsiasi altra attività, didattica o ludica. In quei tre mesi, e non ero il solo, non si faceva altro. In attesa di trovarsi davanti a lui, a tentare di essere all’altezza di ciò che ci aveva insegnato. Con il timore di incorrere negli strali di quell’ironia che – al pari della competenza e dell’arguzia – aveva riservato a lezione ai personaggi ed alle situazioni storiche trattati, e che adesso avevano come unico bersaglio possibile il malcapitato ed eventualmente impreparato candidato.
Ricordo che ne ebbi per quaranta minuti, al termine dei quali credetti di aver superato l’ordalia. Il professore mi passò agli assistenti, dicendo loro che avevo fatto una “buona introduzione”. Uscii dall’aula dell’esame due ore dopo. Stremato, ma al settimo cielo. Non ho più provato nella mia vita successiva una soddisfazione personale come quella di aver risposto alle domande del prof. Di Nolfo (e poi degli assistenti alle cui mani mi aveva affidato perché completassero l’opera) senza che una sola volta egli avesse a riprendermi o correggermi. Delle sue parole che avevano riempito così tante delle mie mattine nella sua aula di lezione, tenendomi avvinto alla sedia, non me n’ero persa neanche una, evidentemente. Non le ho dimenticate più.
L’avevo ritrovato trent’anni dopo su Twitter, dove ancora commentava con il suo stile essenziale e diretto al cuore dei problemi i fatti della cronaca internazionale. Ricordo di aver pensato che tra tutti i social network, proprio l’Uccellino era quello che si confaceva di più al professore, per il quale tra l’altro gli anni sembravano non essere passati. Lui che era sempre stato estremamente analitico, ma nello stesso tempo con il dono della sintesi. A saperlo leggere, ascoltare, con una semplice frase ti portava ancora a volgere la testa dalla parte giusta delle cose.
Al mio saluto, rispose ricordando “gli anni felici ma troppo lontani” della Cesare Alfieri. E io mi scoprii a desiderare di poter tornare almeno una volta in quell’aula dove lui ci parlava di Cavour e di Eisenhower, di Stalin e di De Gasperi, di Vittorio Emanuele II e dello Scià di Persia rendendoceli tutti personaggi a portata di mano, comprensibili nei loro pregi e difetti al pari di un qualunque altro conoscente.
E andato a riunirsi nuovamente con il suo Consiglio di Facoltà di un’epoca ormai davvero troppo lontana. E leggendaria. Di quella Cesare Alfieri non resta più nulla, se non una schiera di "figli" ormai dispersi ai quattro angoli del mondo con in mano un diploma di laurea e tanti, tantissimi ricordi felici.
Neppure di quella Firenze che il professor Di Nolfo aveva eletto a sua ultima dimora – e di cui la Cesare Alfieri fu per una breve stagione negli anni Ottanta l’ultimo capolavoro del Rinascimento – resta più nulla. Ma a chi di noi capita di passare per una Via Laura ormai deserta, nella strada in cui riecheggiano i nostri passi amplificati dal vuoto che regna ormai dentro e fuori i palazzi risuona ancora la voce di alcuni professori che hanno fatto la nostra storia personale, insieme a quella del paese. Risuona la voce di Ennio Di Nolfo.

Le sia lieve la terra di questa città che purtroppo dimentica tante cose, professore. Finché non verrà il tempo, come dice Guccini, in faccia a tutto il mondo per rincontrarci. E sentirla di nuovo fermare quel tempo. Per sempre.

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