venerdì 14 ottobre 2016

Il Nobel per la Letteratura da Dario Fo a Bob Dylan



How does it feel? Come ci si sente?
Per una di quelle coincidenze che sembrano tanto scherzi del destino, nel giorno in cui arriva la notizia della scomparsa del Premio Nobel per la Letteratura più eterodosso della storia, Dario Fo, la notizia immediatamente successiva è quella del conferimento dello stesso premio, in maniera apparentemente ancor più eterodossa, a Robert Allen Zimmermann, in arte Bob Dylan.
Bob Dylan negli anni 80
Fosse il Nobel per la Musica, nessun dubbio. Il Menestrello è stato ed è il più grande folk singer di tutti i tempi, secondo la rivista Time il più grande musicista in assoluto dopo i Beatles. Ma siccome la categoria è quella della Letteratura – istituita ai tempi di Alfred Nobel alla fine dell’Ottocento, in un’epoca cioè in cui la classificazione delle Arti e delle branche dello scibile umano era assai più rigida di adesso -, ecco che allora le menti che possiamo definire più scolastiche (senza voler offendere nessuno) avranno sicuramente da obbiettare, come lo ebbero ai tempi del Nobel al compianto Dario Fo.
Il fatto è che ormai alla voce letteratura possiamo rubricare una quantità molto più vasta rispetto a prima di espressioni testuali e/o poetiche, e per di più prodotte con sistemi multimediali. Anche un sms ormai può contenere della poesia o della prosa che toccano corde educate al gusto letterario, e di strada dai tempi della penna d’oca prima e a sfera poi ne è stata fatta tantissima.
Malgrado sia almeno dai tempi di Shakespeare tuttavia che le pièce teatrali vengono annoverate tra la produzione letteraria, molti storsero la bocca quando il commediografo Fo fu insignito del prestigioso (ed assai invidiato) Premio che ai primi di dicembre viene assegnato ogni anno dalla Fondazione Alfred Nobel presso la Kungliga Konserthuset Halle di Stoccolma, la Sala Concerti della Corona svedese.
La bocca storta in quell’anno di grazia 1997 era dovuta non soltanto alle passioni non sopite del secolo che andava a concludersi e che come nessun altro aveva visto l’Arte condizionata dalla Politica, ma anche ad una desuetudine generalizzata con il Teatro come forma artistica rispetto ai tempi antichi, quando a Commedia e Tragedia erano intitolate almeno due delle Nove Muse.
Bob Dylan negli anni 60
A teatro non va più nessuno, o molto meno rispetto ai tempi andati, quando per un ragazzo delle scuole superiori uno dei traguardi più ambiti era il conseguimento dell’età per la cosiddetta ETI 21, la tessera dell’Ente Teatrale Italiano che dava diritto a forti riduzioni sui biglietti. Tra le tante vittime della televisione (che peraltro fino ad una certa epoca si era accollata l’onere di produrre in proprio le rappresentazioni teatrali), c’è stato anche quel nostro piccolo mondo antico. A cui Dario Fo aveva appartenuto né più e né meno come noi.
Diverso il discorso per Dylan, anche se già c’è chi grida allo scandalo a neanche ventiquattr’ore dalla nomination del Menestrello di Duluth. Anche qui, motivi politici e generazionali spingono menti scolastiche (in senso lato, perché a scuola in fin dei conti ci sono andate poco e male) ad insorgere. Dalla Rivoluzione all’Accademia, è la critica più garbata rivolta al folk singer americano, dimenticando che Dylan non ha mai chiesto premi, così come cinquant’anni fa non aspirava a fare rivoluzioni, se non quelle del costume. Se c’è un uomo che ha messo a dura prova la giustizia americana, molto più di un John Lennon per esempio, è stato lui, eppure non ha mai avuto a che fare con quella giustizia, e questo vorrà pur dire qualcosa.
Diceva Winston Churchill, non essere di sinistra da giovani significa essere senza cuore, non essere di destra da vecchi significa essere senza cervello. Senza voler generalizzare in questo senso, si potrebbe evitare di molestare insensatamente un signore di ormai 75 anni a cui una istituzione di accademici di età probabilmente altrettanto avanzata ha inteso conferire un premio prestigioso, sicuramente carico di significato, altrettanto sicuramente oggetto di invidie, ma tutto sommato innocuo. La motivazione stessa è innocua, e ineccepibile tra l’altro: «per aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana»
Bob Dylan oggi
Bob Dylan le sue rivoluzioni le ha fatte, fin dove poteva e voleva farle. La sua arte sta tra le Nove Muse al pari del Teatro, fin dall’antichità. I suoi testi non hanno nulla da invidiare a quelli di poeti affermati e classificati in senso più ortodosso, i cosiddetti scrittori che adesso insorgono. Quanto al pubblico, se il Nobel fosse andato al nostro compianto Fabrizio De André, nessuno avrebbe avuto da eccepire, alzi la mano chi non riconosce la poesia nelle sue strofe. E allora perché scandalizzarsi per il De André americano, che magari ai suoi tempi ha reso anche qualche servizio alla collettività pronunciando parole pesanti (e pericolose per lui) contro la Guerra del Vietnam e l’Apartheid in patria e all’estero?
Nel 1975, quando il premio fu conferito ad Eugenio Montale, ci fu chi storse la bocca anche allora. Poeta indiscusso, che usava mezzi e stili propri della letteratura tradizionale, eppure qualcuno obbiettò con la boccuccia storta che quell’Ermetismo non era vera poesia, era metrica spigolosa, era una fuga dalla realtà, dall’impegno sociale, dalla stessa arte. Adesso Montale se la sta ridendo assieme a Dario Fo su quella nuvoletta sulla quale da ieri stanno discutendo assieme a proposito della stupidità umana e dell’atteggiamento scolastico che l’alimenta da sempre.
Sperando di incontrarli lassù il più tardi possibile, Bob Dylan canta ancora le sue canzoni in giro per il mondo con il suo Never Ending Tour probabilmente riflettendo anch’egli sul genere umano e su quanto poco i tempi siano cambiati, rispetto a quello che sperava scrivendo il testo della sua celebre canzone.


Quante volte un uomo dovrà ancora sollevare lo sguardo, prima che possa vedere il cielo? La risposta, amici miei, è perduta nel vento.

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