lunedì 24 ottobre 2016

La volpe e i leoni del deserto



Nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre 1917, nella zona del fronte nordorientale compresa tra Caporetto e Tolmino, un giovane tenente dell’esercito del Kaiser di Germania, alla guida dei suoi Fallschmirjaeger, gli alpini del Wurttemberg, sfondò le linee italiane riuscendo con 500 uomini a catturare oltre 9.000 dei nostri soldati e dando il via a quella che è stata conosciuta come la rotta di Caporetto. La rotta che fu arrestata soltanto sulla celebre linea del Piave.
Venticinque anni dopo esatti, divenuto Feldmaresciallo dell’esercito del Terzo Reich, Erwin Johannes Eugen Rommel nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre 1942 aspettava sulla spianata di El Alamein l’attacco dell’Ottava Armata guidata dal generale britannico Bernard Law Montgomery. La battaglia che stava per cominciare, durata dieci giorni, sarebbe risultata decisiva per le sorti della guerra in Nord Africa. L’ultima battaglia dell’Impero Britannico, la prima vittoria alleata sulle forze dell’Asse, poco prima che sbarcassero in Nordafrica le truppe americane.
Tra queste due date, in questi venticinque anni esatti si dispiega la carriera di colui che è stato definito il più grande comandante della storia moderna. Rommel riuscì a ritardare la vittoria di Montgomery per dieci giorni, e ci riuscì anche grazie al valore di reparti d’elite italiani come la Folgore, il Btg. Bezzecca dei Bersaglieri ed altri. Molto meno attrezzati dei colleghi tedeschi, furono gli ultimi a cedere ed a ritirarsi dai campi di battaglia di El Alamein, spesso lasciati indietro dai “camerati” germanici che nella rotta (rovinosa né più e né meno di quella che ci avevano inferto a Caporetto) pensarono bene di badare soltanto a se stessi.
Rommel si guadagnò l’appellativo di Wustenfuchs, Volpe del Deserto, prima di volare via ad assumere il comando del Vallo Atlantico, la fortificazione opposta dai nazisti allo Sbarco in Normandia nel giugno 1944. Un’altra impresa disperata in cui il suo genio non poteva sopperire al sottonumero ed alle carenze organizzative dell’esercito tedesco rispetto agli Alleati.
I nostri, che lasciarono sul suolo egiziano 5.200 soldati e 232 ascari libici, si meritarono la targa che testimonia tutt’oggi del loro valore, al km 111 da Alessandria d’Egitto, il punto di massima avanzata a cui arrivarono dopo la vittoria di Tobruk nel giugno 1942. E quella frase lapidaria che vi è scritta sopra, e che riassume in poche parole un’epopea: “Mancò la fortuna, non il valore”.
Non possiamo rammaricarci dell’esito del secondo conflitto mondiale, così come del primo, perché l’alternativa sarebbe stata assai peggiore, per il nostro paese e per il mondo intero. Ma possiamo e dobbiamo ricordare per sempre il valore del nostro esercito, sul Piave e sulle sabbie del deserto libico-egiziano.
Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i Leoni della Folgore!
(Winston Spencer Churchill)
“Il soldato tedesco ha stupito il mondo. Il soldato italiano ha stupito il soldato tedesco
(Erwin Johannes Eugen Rommel)

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