domenica 20 novembre 2016

Basta un NO

Maria Etruria Boschi, come la chiama Matteo Salvini con evidente riferimento al suo casato nobiliare, si aggira per l’Europa (dopo il Sudamerica) un po’ come faceva una volta quello spettro ancestrale da cui discende il suo partito. Solo che, a differenza di quanto succedeva normalmente allo spettro almeno in Occidente, Maria Elena ha un incarico ufficiale nella compagine del governo italiano, è Ministro per le riforme costituzionali, e pertanto ci si aspetterebbe che le sue uscite fossero sempre e comunque in rappresentanza di tutto il popolo che governa, non soltanto di quella parte che lei vorrebbe veder vincere, con le buone o con le cattive.
Tra l’altro, visti i chiari di luna, corre il sospetto che questi viaggi, dalla Pampa argentina all’Imperial College di Londra, sia il contribuente a sobbarcarseli sul suo già magro bilancio. Maria Etruria, pardon, Elena, dice di no: tutto a carico, suo e dell’impegno volenteroso di giovane pasionaria democrat. Lo dice lei, e noi – come il Marcantonio di Shakespeare dobbiamo crederci, è donna d’onore.
Di questo passo dovremo credere anche che Matteo Renzi ha comprato personalmente i 4 milioni di francobolli apposti alle altrettante lettere di invito ad andare a votare indirizzate agli italiani all’estero. Di credere che esse contengano tra l’altro soltanto quell’invito, e non un messaggio neanche tanto subliminale ad apporre la fatidica croce sul fatidico SI, ci riesce ancora più difficile. Così come di credere che tutto ciò avvenga per il bene dell’Italia.
Parlano tutti in nome dell’Italia, man mano che l’ora X si avvicina. I sondaggi sono stati stoppati troppo tardi, i quindici giorni di legge non sono stati sufficienti a impedire la pubblicizzazione dell’ultimo, che ha indicato una crescita tendenziale del fronte del NO oltre il 5% di vantaggio. Un vantaggio che nemmeno la chiamata alle urne in dose massiccia degli ex italiani potrebbe rovesciare, probabilmente.
In attesa di sapere se i sondaggi sono davvero quel baraccone da circo che la Brexit e Donald Trump hanno svelato al mondo, il campo del SI comunque ha annusato l’aria che tira, che non è favorevole per niente. E cercando di far propria l’improntitudine del suo condottiero, Matteo Renzi, l’uomo che ha la faccia per tutte le stagioni e per tutte le affermazioni (tanto quelle passate chi se le ricorda?), si dispone a farci trascorrere queste ultime due settimane prima del voto come gli spettatori del teatro dei Pupi siciliani, ricorrendo cioè alla più vasta gamma di espressioni facciali (dal truce al disgustato al fulminante), nonché alle più oscure minacce ed anatemi per farci passare notti in bianco preoccupati del nostro destino qualora insistessimo nella protervia dell’errore, quello di mettere la crocetta fatale nella casella sbagliata.
Vecchi arnesi del comunismo rinnegato solo a parole, come Valter Veltroni e il miliardario rosso De Benedetti, o di quella democrazia cristiana di terza fascia - al di sotto del sottobosco - come l’altro ministro Dario Franceschini, ci offrono durante l’omelia serale presso una televisione ormai del tutto compiacente se non asservita il quadro dell’Italia futura che ha tradito il nuovo che avanza, con i cosacchi di Salvini che abbeverano i cavalli a Montecitorio e Palazzo Chigi, e con Donald Trump che ci priva delle nostre risorse, dei nostri nuovi portatori di cultura (come se non ne avessimo abbastanza della nostra), mentre la Merkel ci sbatte fuori dall’Euro e ritorniamo al baratto in natura.
Già, la Merkel. Incoronata leader dell’Occidente dal Presidente più inutile e dannoso della storia degli Stati Uniti, quel Barack Obama che si appresta se Dio vuole a chiudere il gas e riconsegnare le chiavi della Casa Bianca al legittimo proprietario, la Signora dello Spread non ha perso tempo a far sentire le sue minacce, come nemmeno fu capace Federico Barbarossa a suo tempo. Doppiata subito dai Quisling della Banca d’Italia, che hanno paventato i primi bombardamenti degli Stukas già per la mattina del 5 dicembre.
Maria Elena Boschi con Vincenzo de Luca
Vecchi e nuovi Presidenti della Repubblica italiana fanno la loro parte ricordando al popolo che dal 2011 non è più sovrano. E il popolo forse comincia a rendersene conto, se le dichiarazioni di voto rilasciate ai sondaggisti non sono anche stavolta mendaci o canzonatorie.
Di tutti gli articoli oggetto del restyling renziano, che dovrebbe far assomigliare la nostra costituzione un po’ al Palazzo di Giustizia di Firenze (per chi ha presente l’oggetto), quello chiave di questa Legge Costituzionale Truffa non è il 70, che pure riduce l’elenco delle competenze e delle regole di funzionamento del nostro Senato ad una pagina del Manzoni di quelle che abbiamo imparato a odiare a scuola, oppure ad una di Camilleri, quando descrive le modalità di concessione delle linee telefoniche nella Sicilia dell’Ottocento.
No, l’art. chiave è il 117 riformato, ove si dice che: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea e dagli obblighi internazionali”.
Segue l’abolizione sostanziale del regionalismo e del federalismoen passant, ma non è questo il punto, e se i governatori dovessero continuare ad essere della stazza di un Vincenzo De Luca o di qualcun altro degli attuali, non sarebbe tra l’altro nemmeno una gran perdita.
Il punto è che d’ora in avanti, se passa la riforma, gli impegni presi a Bruxelles sono immediatamente vincolanti e non più sottoposti a ratifica da parte del nostro Parlamento. L’Italia cessa da quel momento di essere uno stato sovrano e diventa una regione a statuto ordinario dell’Unione Europea. Quel soggetto politico che, con buona pace di Altiero Spinelli e di tutta Ventotene, negli ultimi vent’anni ha quasi azzerato il nostro potere d’acquisto ed il nostro tenore di vita, ci ha imposto governi che nessuno ha più potuto votare, ci ha imposto una invasione di migranti per ritrovare un precedente analogo – in tutti i sensi – della quale bisogna risalire al periodo compreso tra il 410 d. C. e la cacciata dei Longobardi dalla Penisola. Ha distrutto la nostra economia e la nostra sovranità reale. Complici, ovviamente, i ducetti, i gerarchi ed i burocrati bancari che si sono alternati a far finta di governare questo paese, gestendo invece esclusivamente i propri interessi.
Le ragioni del No, dunque, sono le stesse del 1947, quando perfino i comunisti capirono che non era il caso di alienare la sovranità popolare così faticosamente e sanguinosamente riconquistata. Lo capisce perfino un vecchio arnese del comunismo postmoderno come Pierluigi Bersani. Il suo No inquieta un po’ il campo anti-renziano, come quello di D’Alema. Si tratta di gente che avrebbe fatto perdere la sua battaglia perfino a San Francesco, a Giovanna d’Arco, se fossero stati dalla loro parte. Ma non è il caso di stare a sottilizzare, servono tutti i voti per salvare la Costituzione repubblicana, anche quelli di chi a suo tempo ci ha preso in giro con la Bicamerale e la pessima riforma del Titolo V di Bassanini.

L’unica vera costituzione che ci rimarrebbe, se prevalessero le ragioni del SI, sarebbe il Trattato di Maastricht. Non ci resterebbe il tempo per finire di maledirlo abbastanza.

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